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Telecronisti o indovini?

Se un giornalista vuole rischiare la pelle (professionale non fisica), non deve fare altro che entrare nella cabina del telecronista dello sci, avvicinarsi al microfono e commentare l’azione di un discesista o uno slalomista. Di fatto è come se si presentasse anche lui in partenza assieme all’atleta, con migliaia di persone ad attenderlo al traguardo. In questo immaginario parallelo esiste una differenza netta: l’atleta può essere solo sostenuto e ammirato per quello che fa anche semplicemente per il fatto di essere un concorrente di Coppa del Mondo. Il telecronista non ha ammiratori o fan ma esclusivamente una folta schiera di critici. Quasi tutti esperti, più sapienti di allenatori, preparatori, atleti stessi. E’ così. E’ sempre stato così. Se l’atleta commette un errore rischiando di andare dritto per la tangente o di inforcare, subito dopo raccoglie l’applauso di chi spera non sia accaduto nulla di grave. Se il commentatore sbaglia sull’andamento della performance dell’atleta o storpia un nome difficile da pronunciare o non ricorda bene il risultato ottenuto 5 anni prima su quella pista, è un incompetente, o meglio, un cretino. L’atleta che piace di più è quello che ha uno stile perfetto, pochi movimenti ma essenziali, spruzzi di neve ridotti al minimo superato il culmine della curva, in poche parole eleganza. Oppure l’opposto: quello che costruisce la propria azione sulla grinta, la forza, la potenza. Un superuomo che quando scende sembra posseduto dal demonio. Il telecronista dalla dialettica raffinata ma lontano dal rischio di una previsione e privo di memoria storica, è lì soltanto perché gli hanno ordinato di starci ma dovrebbe occuparsi d’altro. Allo stesso modo, chi eccita eccessivamente gli animi, azzarda a prevedere come finirà senza alcun freno, o comincia a leggere l’albo d’oro dell’atleta distogliendo l’attenzione da quello che sta accadendo in pista, è da licenziare all’istante. Nella storia dei telecronisti dello sci solo uno, ancora oggi, è amato da tutti, l’avocato Bruno Gattai, la voce dello sci di TeleMonteCarlo. Ha sempre dimostrato un equilibrio perfetto: competenza tecnica (un passato da ex discesista), ottima linguistica (affinata con le arringhe), vocalità in totale sintonia con l’azione dell’atleta recitata con l’abito del tifoso. Aveva la quasi totale libertà di gestire la telecronaca essendo un collaboratore esterno alla redazione. Nessuno che gli dicesse come e cosa fare, anche perché in caso contrario se ne sarebbe andato via (motivo per cui non ha mai pensato di andare in Rai). La sua competenza lo rendeva inamovibile fin quando poi decise di tornare a fare l’avvocato, tra l’altro con un discreto successo. L’alternativa a Bruno era Furio Focolari, successore di Guido Oddo e poi di Alfredo Pigna, voci storiche degli sport invernali della Rai. Guido e Alfredo hanno sempre mantenuto uno stile, diciamo tradizionalista, pura cronaca, rarissime invasioni tecniche e opinioni personali. Diverse gaffe, alcune anche gigantesche, ma quasi sempre perdonate perché commesse in buona fede. Furio capitò nel momento più brillante dello sci Azzurro con Compagnoni e Tomba. Era considerato una specie di macchietta (nel senso buono del termine), perché portò sulla neve quell’intercalare romanesco col suo celebre “Gliela fa o non gliela fa?”. Diciamo ironicamente divertente anche se a volte… da tapparsi le orecchie. Ma senza dover rievocare la storia dei telecronisti Rai (e senza dimenticare Carlo Gobbo, grande professionista, per tante stagioni voce dello sci in Rai), arriviamo ai giorni nostri di via Mazzini. La cronaca, al maschile, è affidata ormai da 9 anni, a Davide Labate che ha come spalla tecnica il navigato Paolo De Chiesa, al microfono da oltre 20 anni! Avere in cabina un cronista e un tecnico è un’ottima cosa, ma è molto complicato trovare l’equilibrio perfetto. Le maggiori difficoltà? Il chi dice cosa, il ritmo, le sovrapposizioni, l’affiatamento. Dopo circa 500 telecronache, a parer mio, la coppia dimostra un rendimento più che buono. Paolo difficilmente sbaglia una previsione e non rinuncia mai a vestire i panni dell’opinionista, specie nelle questioni di politica sportiva. Davide lo porta lì abilmente, lo incalza, ma difficilmente assume la posizione del critico, limitandosi a quello che è e deve essere il suo compito: cronaca, informazioni giornalistiche, conoscenza dei regolamenti, ricerca di quelle notizie che trovi solo se vivi l’ambiente e non che copi affidandoti ai social network. Si infila nella cantine degli skimen, si posiziona a bordo pista prima ancora che inizi la ricognizione, sta intelligentemente vicino agli Azzurri, cattura gli sguardi e raccoglie le sensazioni degli atleti presumibilmente protagonisti, fino a pochi minuti prima che inizi la gara. Di loro sa vita, morte e miracoli perché ha una buona memoria, ma soprattutto perché è un appassionato dello sci. Piace quando ci porta il gettonassimo Marcel Hirscher al microfono. Non nelle interviste di rito obbligate, ma quando lo ferma in pista o al termine di un allenamento battendo sul tempo i giornalisti austriaci che cadono come rapid gates. E’ uno dei pochi che riesce a strappare a Markus Waldner dichiarazioni politicamente ostiche riguardo ai regolamenti. Insomma, non scalda solo la sedia. Il profumo della neve evidentemente lo ammalia.

Le sue vacanze non sono mare cristallino e spiaggia bianca, perché l’unico bianco che gradisce è quello della neve e da giugno a settembre appena può raggiunge lo Stelvio o Les 2 Alpes. Unisce l’utile al dilettevole. Questa sua smodata passione lo porta ogni tanto a soffermarsi su disamine tecniche su un errore o un passaggio interpretato in un determinato modo, ma lo fa quasi sempre con il beneficio del dubbio che poi Paolo assolve, condanna o precisa meglio. Per pareggiare il conto De Chiesa ogni tanto sconfina sul territorio di Davide. Il prima citato “chi dice cosa”. Piccole invasioni che ci stanno soprattutto quando bisogna riempire dei momenti vuoti. Il ritmo è buono, quasi mai urlato (in Rai non piace) e alla fine l’utente anche poco esperto, ha capito perché un atleta ha vinto o ha perso. Davide e Paolo hanno poi anche l’umiltà di spiegare i loro errori. Quegli errori che una piccola parte di pubblico, a risultato ottenuto, magari critica con lanci di epiteti da social. Lo sci è una scienza tutt’altro che esatta. Ha mille imprevedibilità e il tutto si svolge in frazioni di secondo durante i quali i commentatori devono descrivere al telespettatore cosa sta accadendo. Perché quell’atleta è indietro di 28 centesimi, perché è passato mezzo metro più in là in quella curva, cosa ci si può attendere nei prossimi 15 secondi. Se la previsione è corretta non accade nulla, se è sbagliata, chi ha parlato è un pirla! Insomma, si pretende che la telecronaca sia affidata più a un indovino che a giornalisti e tecnici. Un’anomalia propria dello sci, perché è uno sport talmente tecnico e imprevedibile che il telespettatore vuole sapere cosa sta accadendo in pista prima che il cronometro sancisca il risultato. Chi guarda e ascolta vuole anche essere confortato riguardo alle proprie sensazioni o dalle speranze di tifoso. Per comprendere meglio ciò che sto cercando di trasmettere, può essere utile fare questo giochino. Andate su You Tube, prendente una qualsiasi discesa abbassando il volume e provate a fare la telecronaca. Iniziate a pronunciare bene il nome dell’atleta, poi a dire chi è, cos’ha mai combinato in carriera, in che stato fisico-atletico si presenta al cancelletto, chi lo allena, che stile ha, la posizione che abitualmente assume sugli sci, e poi via con le previsioni. Sta andando bene, male, così e così, è partito come una furia, con troppa cautela, preciso, in attesa… Lì un po’ troppo basso di linea, ma ha recuperato, però se si appoggia troppo sull’interno… Se passa alto dopo il dosso prende tanta velocità, no, troppo rispetto prima del muro, ma gli allenatori non gli hanno detto di stare attento lì… Un vero caos! Io ci ho provato, ma mi sono perso quasi subito. Come per tutte le cose ci vuole mestiere e attitudine, altrimenti ti metti in ridicolo. Se sei bravissimo a commentare il ciclismo, il tennis, il calcio e finisci nello sci, rischi di prendere dei pescioni enormi!
In definitiva credo si debba essere più che soddisfatti di come la Rai oggi ci sta proponendo lo sci. Il merito non è soltanto di chi sta al fronte, appunto Davide Labate e Paolo De Chiesa, ma chi tira le fila in cabina di regia. Ivana Vaccari, possiamo proprio dirlo, è il più grande spot per lo sci nel nostro paese. Quel sano principio per cui si porta a dire: “Io pago il canone per cui la Rai ha il dovere di farmi vedere lo sci”, dimenticatevelo. Non funziona così e lo sappiamo ormai tutti molto bene. Vincono l’audience, le necessità e le pressioni pubblicitarie e il volere dei direttori che anche se sono pagati da noi devono rapportarsi con l’ufficio contabilità, con i dati di ascolto, con i condizionamenti politici e poi inevitabilmente dare preferenza alle proprie simpatie e debolezze. Ma Ivana che ha il tenacia di Lindsey Vonn e la rapidità di Mikaela Shiffrin nel trovare soluzioni all’ultimo secondo, è straordinariamente abile a difendere il feudo dello sci. Quando poi si inventa di portare in studio Max Blardone assume quella particolare follia propria di Sofia Goggia che la fa salire sul podio. Non tutte le sue scelte sono matematicamente perfette, ma una cosa è certa, se un suo uomo/donna non vanno bene, non commette due volte lo stesso errore. Riepilogando, Labate/De Chiesa sono a mio avviso attualmente insostituibili, la coppia dello sci femminile Enrico Cattaneo e Daniela Ceccarelli hanno bisogno di un’altra stagione per trovare un’intesa ancora migliore, ma la strada è quella giusta. Qual è Il problema? Al primo anno il pubblico più esigente ti perdona tutto o quasi, ma dal secondo in poi gli errori diventano tormentoni e il pubblico dei seguaci più fedeli non ti perdona più nulla, apostrofandoti come incompetente e ridicolo. Perché lo sci è anche un po’ bastardo, pensi di conoscerlo invece non ne sai quasi nulla anche dopo due o tre stagioni. E se ne sai troppo, rischi di essere saccente e presuntuoso. Non va bene nemmeno essere pittoreschi. In Rai non sono mai stati graditi quei telecronisti che diventano personaggi per il loro modo di commentare. Difficilmente vedremo un Guido Meda in Rai, tanto per intenderci. Il giornalista deve rimanere quasi anonimo e mettersi al servizio della gara con la massima competenza possibile, ma senza inventarsi nulla. È per questo che quando entrano in scena nuove voci nello sci c’è sempre grossa preoccupazione. Il fatto è che chi è sopra a Ivana Vaccari difficilmente se ne può accorgere, perché se non è sciatore non sarà in grado di valutarlo.
Naturalmente oltre a Rai c’è anche Eurosport con Gianmario Bonzi e le sue spalle tecniche Karen Putzer e Alfredo Tradati. Ma di questo ne riparlerò al prossimo pensiero.

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Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

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