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Cocciuto di un montanaro!

Si dice che gli uomini di montagna siano un po’ cocciuti. Quei modi di dire che si attorcigliano nelle strette maglie dei luoghi comuni senza possibilità di uscirne più. Gli uomini di montagna giustamente se la prendono a male, offesi e discriminati. Come quando dai del terrone a un napoletano o del bauscia a un milanese. Anche perché quando si dice cocciuto in realtà si sfiora l’idea dell’ignoranza. Non si arriva del tutto a questo perché gli uomini di montagna sono gente semplice e innocua, con buoni propositi, ma chiusi, introversi, poco disposti alla condivisione. Quei testoni inconsapevoli del fatto che al di là delle vette c’è un mondo aperto, votato al sapere, al progresso, alla conoscenza.

E quando gli spieghi che per migliorare una situazione sarebbe meglio comportarsi in un altro modo, mettendogli sotto il naso una teoria incontrovertibile, la volontà è quella di prendere il forcone e di cacciarti dal suo terreno. Il punto è proprio questo. Gli uomini di montagna sono così perché difendono ciò che mamma natura gli ha donato. Sanno bene che un bosco è più bello di un quartiere di grattacieli. Che un carretto trainato da un bue vale di più di un suv e che il loro formaggio, stagionato nella cantina del nonno, ha un sapore ineguagliabile.

Solo il loro però, non quello degli altri. Se gli racconti che con una produzione maggiore o unendosi agli artigiani vicini potrebbe nascere un bell’affare, iniziano a guardarti con sospetto e si metteno a ragionare per capire dove sta la fregatura. Fanno due conti e tutto sommato non gli conviene. Il portafoglio sarebbe più gonfio, ma l’orgoglio dove lo mettiamo? Non è superbia, ma per fare quella forma di formaggio ci hanno messo sei mesi e vorrebbero venderlo a chi entra nella loro malga consapevoli che per produrlo quei cocciuti dei montanari ci hanno messo l’anima e non conservanti o aromi sintetici.

Il tempo però passa e i figli degli uomini di montagna sono meno legati ai principi. Sono condizionati dagli strateghi del marketing perché la montagna è un luogo di turismo, quindi è una gran bella occasione per far soldi rendendo felici chi glieli dà. Così sono disposti ad aprire le porte della loro baita affidando ad altri il compito di portargli i clienti. Non sono scelti a caso, ma rappresentano il lavoro molto accurato di chi applica strategie studiate.

Maestro in questo è Francesco Bosco che ha più amici montanari che cittadini dopo 22 anni passati in Adamello Ski e un decennio a Madonna di Campiglio, tesoro del turismo invernale made in Italy. E pertanto di difficilissima gestione. è arrivato lì per dirigere la società impianti è ha stravolto tutto. Non ha fatto valere le mostrine da generale ma è riuscito a ottenere il rispetto di tutti con i fatti e non con il potere. Di notte entrava in palestra e si sfogava sul sacco della boxe, di giorno spiegava, organizzava e caricava di responsabilità il capo servizio come il magazziniere. Ora però, dopo aver fatto divertire migliaia di appassionati, ha voglia di mettere anche lui gli sci e dedicarsi a qualche serpentina. E’ un modo gentile per affrontare la meritata pensione. Il problema qual è? Il sostituto. Non è sufficiente un esperto di impianti, di gatti e neve artificiale, ci vuole qualcuno che adotti il suo sistema, che abbia una visione aperta, commerciale e che sappia unire e spiegare. Lo ha trovato, si chiama Bruno Felicetti, per 13 anni direttore dell’Apt di Fiemme. Gli ha telefonato: «Bruno, siediti che devo chiederti una cosa un po’ fortina». Non c’è stato alcuno svenimento ma solo la forza per tirarsi su di scatto e andare a preparare la valigia: «In realtà ho avuto qualche pensiero. Rimettersi in gioco a 50 anni è uno stimolo formidabile ma lasciare il mio team dopo tanti anni è uno shock. E poi la famiglia…». Già a sua moglie l’ha detto dopo una settimana ed è stata proprio lei a strappargli la confessione (le brave mogli si accorgono sempre di tutto). Si è beccato un bel: «Ma che aspettavi a dirmelo?». Francesco affiancherà Bruno per un anno, giusto il tempo per permettergli di entrare in sintonia con gli abitanti del luogo. Qualche montanaro cocciuto c’è sempre.

E il posto di Felicetti in APT Fiemme chi lo ha preso? Il gioco della sorte ha voluto che fosse Giancarlo Cescatti, fino a ieri sales e marketing manager di Campiglio. Non c’è stato nessuno scambio. Cescatti ha partecipato a un concorso e lo ha vinto. Madonna di Campiglio non è in Val di Fiemme ma nel cuore delle Dolomiti di Brenta. Qualcosa ci dice però che presto le due zone si assomiglieranno. Chissà se riusciranno anche a collaborare e a vivere assieme per sempre felici e contenti. è solo un modo di dire…

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Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

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