C’è sempre un momento, nello slalom, in cui la pista smette di essere neve e diventa un giudice. A Levi quel momento è il muro: un’inclinazione improvvisa, un cambio di luce, un battito di ciglia tra il possibile e il disastro. E lì, ancora una volta, Alex Vinatzer ha visto la sua manche – la prima di Levi – svanire davanti agli occhi.
La partenza era stata scintillante. Un gesto pulito, la centralità giusta, l’istinto vivo. Le prime venti porte sembravano il preludio a una gara “alla Vinatzer”: quelle in cui il talento sfonda la porta prima ancora che la vedi arrivare. Il ritmo c’era. La velocità anche. Il corpo seguiva una geometria nuova, più compatta, più matura, figlia del lavoro durissimo fatto negli ultimi mesi.
Poi, all’improvviso, il muro ha parlato. E la storia si è ripetuta. «Stavo sciando bene e ho provato a spingere un po’ troppo presto», ammette Alex con sincerità rara. «C’era un piccolo segno e le code mi sono partite. Lì ho fatto una cagata… e la gara è finita.»
Non è una giustificazione. È uno sguardo diretto dentro l’errore. Il tipo di sguardo che appartiene agli atleti che vogliono crescere, non a quelli che cercano attenuanti. Perché la verità è semplice: Vinatzer ci stava.
Era dentro la manche, dentro la velocità, dentro la gara. E proprio per questo lo stop brucia più forte. «Peccato, perché fino a quel punto stavo sciando davvero bene», continua. «Sono molto contento di come sto sciando in generale, il lavoro che abbiamo fatto mi ha cambiato tanto.»
Lo si vede. Nel modo in cui entra in curva, più compatto. Nel busto che non arretra più come un anno fa. Nell’energia meno “esplosiva” e più “ragionata”. Nell’equilibrio che sta finalmente diventando parte del suo DNA tecnico.
Eppure, lo slalom è un animale selvatico: basta una vibrazione sbagliata, un micro arretramento, un segno nel terreno che altre volte nemmeno guarderesti. E allora tutta l’architettura cade, come un castello troppo alto per reggere quella pressione. «Sto cercando di essere meno arretrato, più compatto. Oggi ho voluto dare subito di più e non era il posto giusto per farlo.»
Ma Alex non è tipo da rimanere fermo nel rimpianto. Lui è quello che prende la sconfitta, la guarda negli occhi e le dice: non finisce qui. «Dà fastidio buttare via una manche così, soprattutto quando senti che il ritmo è quello giusto», confessa. Una frustrazione sana, quella che non scava ma costruisce.
E poi arriva il futuro, che nello sci non è mai lontano. «Sabato c’è già un altro slalom. Bisogna voltare pagina e rifarsi subito.»
È la frase più semplice. Ed è anche la più vera. Perché Alex Vinatzer non è un talento incostante: è un talento in fermento.
Un atleta che sta cambiando pelle, che sta cercando ordine dentro la velocità, che ha tutte le carte per prendersi ciò che ancora gli sfugge. A Levi è andata via così, in un soffio sul muro. Ma nelle parole, nella lucidità, nella maturità che oggi esce dalla sua voce, c’è la sensazione che il passo decisivo non sia lontano. E che il Vinatzer che tutti aspettano non sia un sogno: sia solo dietro la prossima porta.
Parole che naturalmente suonano deboli e inutili per tanti tifosi che non credono più in lui e che hanno perduto ogni speranza.






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