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DH Gardena: L’anno scorso stupì Silvan Zurbriggen

L’anno scorso trionfò l’elvetico Silvan Zurbriggen davanti allo stupore di molti. Ma soprattutto davanti a Romed Baumann per soli 6 centesimi e al connazionale Didier Cuche. I primi segnali dell’ottimo stato di forma di Silvan erano arrivati già il giorno prima con il sesto posto ottenuto nel superG. L’elvetico disegno una linea sul Ciaslat in maniera impeccabile.

Le storie legate alla Saslong sono moltissime e cariche di storia. Eccola:
Il nome tirolese, anzi ladino, significa Sasso Lungo, la cima che sovrasta una delle discese libere più celebri del Circo Bianco. Una pista che non tutti amano, perché le performances dipendono molto dalle condizioni della neve e del tempo. Un passo indietro: la Val Gardena ottiene l’organizzazione dei mondiali del 1970 e la Saslong deve essere ridisegnata. Ci pensa Ermanno Nogler, che tutti ricordano come allenatore di Re Ingemar Stenmark. Si parte dal Ciampinoi, poi una diagonale impegnativa e il salto del Moro, per nulla semplice da affrontare. Poi qualche falso piano, il salto del looping prima di entrare su due muri quasi sempre ghiacciati e le gobbe di cammello con le curve del Ciaslat in sequenza. Nel 1969 nasce la prima Saslong nella storia della Coppa del Mondo. A Karl Schranz non piace per nulla, perché la ritiene troppo facile. In effetti la Fis in quel periodo disse basta alle discese spericolate, per cui modificò il regolamento di tracciatura con riferimenti importanti a favore della sicurezza. La prima, nel ’69, fu vinta dallo svizzero Jean-Daniel Dätwyler sotto una fitta nevicata che rallentò molto l’azione degli atleti.

Ai Mondiali del 70 trionfò lo svizzero Bernard Russi, entusiasta di quel tracciato. Schranz non esitò, invece a rimanere della sua opinione: “Mi sembrava un gigante! (che poi in effetti vinse due giorni dopo)”. Un’esagerazione, perché la Saslong presentava già ben 17 salti e due passaggi molto difficili: le curve del Ciaslat e le gobbe di cammello. In quest’ultimo ci si è sempre giocati la gara, poiché era necessario assorbire a tutta velocità 3 mammelloni ghiacciati. L’austriaco Uli Spiss, nel 1980, stravolse quel passaggio. Riteneva che fosse possibile saltare le tre gobbe tutte assieme. Si allenò in estate sui trampolini del salto e giunse in gara con questa idea fissa. Il suo allenatore si oppose, ma poco prima di partire telefonò al padre per un consiglio: “Salta ragazzo, salta e vinci”. E così accadde. Un volo di 80 metri a 110 km/h perfettamente riuscito. Arrivò quinto e il giorno dopo secondo. Da quel giorno tutti saltarono le gobbe, tranne Marc Girardelli che progettò una linea molto larga per evitarle, mantenendo alta la velocità. Ma non fu un’idea così preziosa. Insomma, la Saslong mantiene sempre il suo fascino, anche per i nomi dei più grandi discesisti della storia dello sci che hanno saputo domarla.

Franz Klammer e Kristian Ghedina ci sono riusciti ben 4 volte. Per noi è la pista di Ghedo, in particolare dal 1994, quando un capriolo invase lo shuss finale al suo passaggio, accompagnandolo fin quasi al traguardo. Peter Runggaldier e Werner Perathoner che sono nati su quella pista e chi lì hanno sempre vissuto, non sono invece mai riusciti a raccogliere nulla di buono. Ironia della sorte? Forse, ma leggendo le loro discese dal punto di vista tecnico si scopre che Peter era troppo leggero per dire la sua e Werner, che proprio lì si ruppe i legamenti del ginocchio, ha sempre affrontato la gara con il patema in testa. Per non parlare della tragedia che colpì Giorgio Piantanida, che cadde rovinosamente sulle gobbe di cammello, perdendo casco, conoscenza e carriera. La Saslong non è mai uguale a se stessa: se c’è il sole gli ultimi a partire sono avvantaggiati, se c’è il ghiaccio è fin troppo difficile, se la neve è semplicemente compatta risulta facile.

Certo è che rispetto alla Saslong di un tempo, quella delle ultime edizioni è priva di passaggi mozzafiato e questo dovrebbe far pensare gli organizzatori, perché se le discese non trasmettono brividi e adrenalina perdono di interesse. Il forte richiamo della tradizione oggi non basta. E’ un valore che lo sci moderno rimanda al mittente, ovvero al cuore degli eroi di un tempo. Pur difendendo ogni misura di sicurezza, gli atleti pretendono di più. A ruota segue la televisione che ha bisogno di immagini brillanti. Forse è ancora possibile intervenire per eliminare il conflitto di interesse agonistico, mi piace-non mi piace. Ma anche se nulla verrà toccato, la Coppa del Mondo senza Saslong leverebbe una delle tende principali al Circo Bianco! 

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Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

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