Con le ipotesi non si va mai lontano. Ma non è un’eresia sostenere che Sofia Goggia abbia di fatto lasciato strada alla vittoria nella discesa di Val d’Isère, consegnandola all’austriaca Cornelia Hütter. Un errore pesante, nel cuore della Oreiller-Killy, ha retrocesso l’azzurra all’ottavo posto, spegnendo sogni di gloria che invece hanno preso forma per chi, oggi, ha saputo interpretare la pista con maggiore continuità.
A vincere è Hütter, e non per caso. L’austriaca costruisce la sua discesa senza picchi appariscenti ma con una solidità che, su una pista come Val d’Isère, fa tutta la differenza. Non è tra le più veloci nella parte alta, dove la scorrevolezza pura conta più dell’aggressività, ma cresce progressivamente. Il passaggio decisivo arriva nel settore centrale e soprattutto nella compressione, dove firma il miglior parziale assoluto della gara: è lì che Hütter mette ordine, mantiene velocità e direzione e trasforma una prova già buona in una vittoria netta. Il cronometro si ferma su 1:41.54, un tempo costruito più sulla continuità che sull’azzardo.
Alle sue spalle resta Kira Weidle‑Winckelmann, seconda a 26 centesimi, protagonista di una discesa estremamente lineare. La tedesca è precisa in alto, pulita nella parte finale, ma paga qualcosa proprio dove la pista chiede più personalità: nei settori centrali, dove non riesce a trovare quell’accelerazione capace di mettere pressione alla vincitrice. Una gara solida, senza errori, ma non sufficiente per ribaltare il risultato.
Completa il podio Lindsey Vonn, terza a 35 centesimi, con una prova che conferma la sua ritrovata competitività. L’americana sceglie linee lunghe, privilegia la scorrevolezza e gestisce bene i passaggi più delicati, ma lascia qualche centesimo proprio nei punti in cui Hütter riesce a fare la differenza. Non è la Vonn dei giorni di dominio, ma è una Vonn pienamente dentro la gara, capace di salire sul podio su una delle piste più selettive del circuito.
Ai piedi del podio chiude Ilka Štuhec, quarta a 39 centesimi. La slovena è la più veloce nella parte alta e nei primi due settori, dove attacca con decisione, ma perde progressivamente terreno nel cuore della pista, pagando una minore continuità nei tratti più tecnici. La sua resta comunque una delle interpretazioni più aggressive della giornata.
Solo a questo punto entra in scena la gara delle azzurre, a cominciare da Sofia Goggia. Fino al terzo settore la sua discesa è da vittoria: secondo tempo nel primo tratto, miglior parziale assoluto nel terzo, sensazione evidente di una velocità superiore alla concorrenza. Poi l’errore, netto, nella zona che precede la compressione. Un’imprecisione che le costa quasi un secondo e la fa scivolare all’ottavo posto finale. Il piazzamento è severo, ma la lettura della gara dice altro: la condizione c’è, la velocità pure. È mancata la continuità in un solo passaggio, quello che a Val d’Isère non perdona.
Subito fuori dal podio chiude Laura Pirovano, quinta a sei centesimi dal terzo posto. La sua è una discesa intelligente, costruita senza forzare la parte alta – interamente dedicata alla scorrevolezza – e molto efficace nel tratto centrale e nella compressione, dove tiene una linea pulita e continua. Il distacco minimo dal podio pesa, ma la prestazione è di alto livello: Pirovano resta pienamente dentro il gruppo delle protagoniste della specialità.
Buona anche la prova di Nicol Delago, nona a 1.01, capace di ritrovare velocità soprattutto nei tratti pianeggianti e nel finale, le zone più congeniali alle sue caratteristiche. Manca ancora qualcosa nei curvoni ad altissima velocità, ma il risultato rappresenta un passo avanti in termini di fiducia.
Più indietro Elena Curtoni, diciassettesima, in una gara che non le consente di esprimere appieno la sua sciata. Nafia Delago ve fporte nella prima metà.poi cede anche lei, come Roberta Melesi.
La Oreiller-Killy, anche oggi, ha fatto il suo mestiere: separare chi riesce a costruire una discesa completa da chi perde qualcosa per strada. La vittoria di Hütter nasce da qui, dalla capacità di tenere insieme tutti i pezzi. Per l’Italia resta una gara dai due volti: fuori dal podio, ma con segnali tecnici che raccontano una realtà più ricca di quanto dica la classifica. Su una pista che non mente mai, la differenza è stata – ancora una volta – un singolo passaggio.






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