La prima gara non si scorda mai, dicono. Giada D’Antonio ha deciso di ricordarla così: vincendo.
A Mürren Schilthorn, nella sua primissima FIS, ha piazzato uno slalom che somiglia più a un biglietto da visita che a un risultato: 44 centesimi sulla svizzera Elyssa Kuster, 83 su Minna Bont e oltre un secondo su un gruppo interminabile di elvetiche, una vera muraglia bianca schierata in casa. Ottanta atlete al via: folla, livello, concorrenza. Ma la più veloce è stata lei.
Dopo la prima manche, affrontata col pettorale 82, su 84 partenti, la sedicenne dello Sci Club Vesuvio era quarta, staccata di 59 centesimi. Poi, nella seconda, si è trasformata: precisa, affamata, incisiva come la Panther del Vesuvio che quando decide di scendere… non fa prigionieri. Ha attaccato ogni porta con una sicurezza che non dovrebbe appartenere a un’esordiente — e invece eccola lì, a ribaltare la classifica e a prendersi la vetta.
Una vittoria così, all’esordio, vale più di un risultato: è un segnale, un indizio forte di talento, personalità e sangue freddo. Eppure, proprio per questo, vale la pena aggiungere una verità che nello sci non passa mai di moda: maniche rimboccate.
Perché non è ancora successo niente. L’alto livello è un sentiero stretto, pieno di insidie, curve cieche, ostacoli invisibili. La strada che porta in alto è lunga, e non perdona distrazioni né illusioni.
Ma come inizio, Giada, hai messo giù un segno che resta. Se il cammino è difficile, almeno sai già come ci si muove: con la velocità, con la testa, con il coraggio.






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