Vinatzer immenso: secondo a 23 centesimi da Odermatt. L’Italia torna sul podio del gigante.
Il gigante di Beaver Creek esplode con il più bel risultato italiano degli ultimi anni: Alex Vinatzer è secondo, a soli 23 centesimi da Marco Odermatt. Una seconda manche monumentale, la miglior della sua carriera in gigante, una discesa che ha ribaltato il senso della gara e – forse – il suo stesso orizzonte tecnico.
Vinatzer, decimo dopo la prima manche, ha sciato come se il gigante fosse casa sua: linea aggressiva ma mai scomposta, appoggi precisi anche sul segno più profondo, Golden Eagle attraversata con lucidità, parte bassa da autentico specialista. Ha letto ogni metro di Beaver Creek con una calma feroce, trasformando il gigante più complicato del Nord America in una pista amica. Il cronometro lo ha premiato: 2:20.82, dietro solo al solito, immenso Odermatt.
Lo svizzero ha vinto ancora, in 2:20.59, ma stavolta non ha dominato: ha gestito. Il vantaggio costruito nella prima manche era enorme, la seconda è stata un esercizio di controllo totale. Ma quel margine si è assottigliato porta dopo porta, fino a lasciare l’impressione che la gara si fosse improvvisamente riaperta. Due decimi lasciati sul finale hanno reso il distacco minimo, quasi simbolico. La vittoria è sua, ma la scena è di Vinatzer.
Il podio lo chiude Henrik Kristoffersen (+0.34), autore della solita rimonta chirurgica nella parte bassa: preciso, calcolatore, capace di inventarsi un podio anche in una giornata in cui non ha mai davvero amato né neve né tracciato. È il suo 98° podio in Coppa del Mondo: un numero che gli appartiene più della pista stessa.
Il resto del gigante si muove dentro gerarchie ormai note. Stefan Brennsteiner quarto (+0.41), in piena lotta per il pettorale rosso che condivide ora proprio con Odermatt; Lucas Braathen quinto (+0.49), efficace ma mai davvero dentro alla gara; River Radamus sesto, miglior americano e miglior tempo assoluto della seconda manche (tagliando il traguardo in controllo perfetto del segno).
Per l’Italia giornata ricca anche oltre al capolavoro di Vinatzer. Giovanni Borsotti, ventesimo, mette insieme un’altra manche solida e risale: intelligente nei tratti segnati, preciso dove la pista iniziava a rompere, in piena fiducia dopo un avvio di stagione in ripresa. Filippo Della Vite, venticinquesimo, rovina tutto con un errore enorme alla terza porta: sette decimi buttati via subito, impossibili da recuperare. Il resto della discesa è stato notevole, persino incoraggiante, ma figlio di una manche “tagliata” dal primo episodio. Serve una run intera: manca poco, ma è ancora poco.
La chiave tecnica della gara è stata di nuovo il tratto Golden Eagle–piano: chi lo ha letto, come Vinatzer, Radamus e McGrath, ha guadagnato vita; chi lo ha affrontato troppo diretto o troppo in appoggio, come Favrot e Tumler, ha lasciato metri decisivi. L’ultimo settore, apparentemente semplice, ha eroso più secondi della parte alta.
E poi c’è Odermatt, sempre lui: 49ª vittoria in carriera, 28ª in gigante, un solo successo di distanza da Alberto Tomba. Ma oggi è stata l’Italia a riempire gli occhi.
Perché un podio così, su questa pista, in questo gigante, non è un risultato. È una dichiarazione d’amore per una specialità che a inizio carriera era solo una speranza!






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