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Gugu Bosca: L’ ingegnere della velocità

Ogni atleta ha un modo diverso di stare nella velocità. C’è chi la rincorre. E chi la interpreta. Guglielmo Bosca appartiene a questa seconda razza di atleti: quelli che cercano l’ordine nel caos. Che non vogliono domare la montagna, ma capirla. Non è calcolo, è coscienza. Una lucidità che non cancella l’istinto: lo rifinisce. Lo incontri oggi con la calma di chi ha rimesso in fila le cose. La scorsa stagione si è fermata bruscamente, a Beaver Creek, per la frattura del perone destro. Arrivava da un inverno che lo aveva consacrato tra i primi cinque al mondo in Super-G. Sentiva di essere vicino al passo decisivo, quello che trasforma la fiducia in continuità.


Copper Mountain (USA), Guglielmo Bosca (ITA), photo Gabriele Facciotti | Pentaphoto

«È in quei momenti che la voglia di rientrare diventa fuoco – racconta – perché hai la sensazione di perdere terreno, di farti sfuggire tutto. Ma ho capito che la fretta non serve. A volte devi saper restare fermo per poterti rimettere davvero in moto».

Ferite, ritorni e continuità

Bosca ha capito presto che la velocità non perdona. Nel 2017 la prima grande frattura: tibia e perone, con complicazioni e pseudoartrosi. Poi il crociato, il menisco, il piatto tibiale. E infine, nel 2024, di nuovo un perone rotto, proprio quando tutto sembrava allinearsi. «In certi momenti mi è venuto istintivo dire basta, – confessa. – Ti sembra di aver dato tutto, e di non avere più nulla da chiedere o da restituire. Poi arrivano gli amici veri, quelli che non ti lasciano scappare.

Mi hanno aiutato a tenere duro, a resistere, a crederci ancora. E sono felice di averlo fatto. Gli infortuni ti spogliano dell’immagine e ti restituiscono la sostanza. Ogni volta ho dovuto ricominciare. Ogni volta ho capito qualcosa in più».
Ad aprile è tornato sugli sci. «Pochi giorni, ma bastavano. Sentire di nuovo la neve sotto, la gamba che regge, la testa che si riaccende. È come respirare aria che ti mancava». Ora guarda avanti: «La costanza è la mia vera forza. Quando sto bene, la fiducia arriva da sé».

L’ingegnere della discesa

Bosca non è solo uno sciatore. È un metodo. Ha studiato ingegneria al Politecnico di Milano e scia con la precisione di chi vuole capire ogni dettaglio del gesto. «Analizzo tutto materiali, tracciato, fondo, visibilità. Ma poi lascio che il corpo faccia il resto. Serve un equilibrio tra consapevolezza e abbandono». Tiene un file Excel con ogni sci provato. «Sì, lo so, è maniacale. Ma serve. Ogni attrezzo ha una memoria, e io voglio ricordarla tutta». Il suo rapporto con lo skiman (Christoph Atz) è un confronto quotidiano: «Ogni sciata è una riunione di lavoro. Ci parliamo, analizziamo, aggiustiamo. È un laboratorio continuo».

E poi c’è quel bisogno di controllo. «Quando tutto è al posto giusto – la linea, la pressione, il ritmo – allora rendo al massimo. È il momento in cui la mente si spegne e lascia spazio al gesto. È lì che scio come voglio». Il cronometro, però, non basta. «Lo capisco dai piedi se una giornata è buona. Dalla pulizia del gesto, da come scorre la neve. Quando tutto diventa silenzioso, quello è il momento giusto.  Non serve neanche vedere il tempo: lo senti, e basta».

Le piste del cuore

«Mi piacciono tutte, davvero. Ma se devo dirne alcune, dico Wengen, Kitzbühel e Garmisch Partenchirken. A Wengen mi sento a casa: il pubblico, l’atmosfera, il rispetto per lo sport. È il posto dove lo sci è ancora cultura, oltre che spettacolo. Kitzbühel resta unica per la sua storicità e per l’adrenalina che trasmette, è la gara che ogni discesista sogna. E poi Garmisch, dove ho conquistato il mio primo podio: lì ogni curva mi riporta a quel momento. Sono piste che raccontano lo sci vero, ognuna con un’anima diversa, ma con la stessa grandezza».

Tra rischio e misura

Il salto di qualità è arrivato quando ha smesso di trattenersi. «Prima lasciavo sempre un margine di sicurezza. Poi mi sono detto: o lo fai o non lo fai. A Wengen ho cambiato approccio e ho capito che la fiducia è più forte della paura». Il rischio, però, non lo nega. «Fa parte del gioco, ma va rispettato. Dopo certi incidenti, dopo certe tragedie, impari a dargli un nome. Non puoi cancellarlo, ma puoi conviverci».

Quando parla di Matteo Franzoso, la voce si abbassa. «Era più di un compagno di squadra, era un amico vero. Con lui ho condiviso tanto. Quello che è successo mi ha colpito nel profondo. Ero in pista con lui quando è successa la tragedia e quell’immagine mi è rimasta dentro e la  porterò con me. Dopo certi momenti capisci che il rischio non è un concetto: è una presenza. Non puoi eliminarla, puoi solo rispettarla. Forse dovremmo rallentare un po’, tutti. La gente, davanti alla TV, non immagina davvero quanto andiamo veloci. Non serve spingere sempre di più. Basterebbe capire quanto vale una curva fatta bene».

Allenare la mente

Bosca non allena solo il corpo. Allena la calma. «Negli anni ho capito che la velocità non è solo tecnica. È anche testa, e tanto. Ho lavorato con una psicologa dello sport che mi ha insegnato a gestire la pressione. A respirare meglio, a visualizzare ciò che devo fare, a svuotarmi dei pensieri inutili. In discesa hai pochi secondi e nessun margine. Se ti lasci prendere dalla paura, hai già perso». La mente, per lui, è come una seconda pista. «Devi tracciarla bene ogni giorno. È lì che si gioca la differenza tra chi scia per reazione e chi scia per convinzione».

L’acqua, la purezza, la persona
Dall’ottobre 2024 Bosca veste i colori di Acqua San Bernardo. Un legame nato quasi per caso, durante un evento FISI ospitato presso le cantine Ceretto di Alba, in un luogo dove la natura e la cura del dettaglio si respirano come filosofia. «È lì che ho conosciuto Antonio Biella, l’amministratore di San Bernardo»  racconta. «Ci siamo parlati di equilibrio, di valori, di rispetto. Ho sentito subito che parlavamo la stessa lingua». Oggi quell’intesa è diventata un percorso comune. «La mia carriera si basa su impegno, perseveranza e una costante ricerca di equilibrio. In velocità tutto si gioca sul controllo: una frazione di errore, e passi dal successo alla sconfitta. Ma l’equilibrio non è solo corpo, è anche dentro di te. E San Bernardo, con la sua acqua pura e incontaminata, rappresenta proprio questo: il modo giusto di rimanere centrato, di nutrire energia e lucidità senza forzare. È un partner naturale, che mi accompagna in gara e nell’allenamento, dentro e fuori la pista».
Un’alleanza che non parla solo di idratazione, ma di affinità: trasparenza, semplicità, misura. Tutte parole che, in fondo, appartengono anche al suo modo di sciare.

L’altra nascita

Da pochi mesi Bosca è anche diventato padre. «Un’esperienza che cambia ogni prospettiva. Ti insegna la pazienza, la misura, la gratitudine. Adesso ogni giorno parte da lì – da un sorriso piccolo, ma enorme. È come se tutto avesse preso un ritmo nuovo».

Verso Milano-Cortina


Il pensiero, inevitabilmente, corre a Milano-Cortina 2026. «È presto, ma qualcosa si sente già. C’è più attenzione, più aspettativa. È normale. Ma cerco di viverla giorno per giorno. Prima di tutto voglio ritrovare continuità e forma, mi accorgo che mi servirebbe qualche chilometro in più nelle gambe. Poi penserò a quel sogno. Le Olimpiadi in casa sono un orizzonte bellissimo, ma non puoi costruirle in un giorno: ci arrivi con il lavoro, non con le parole».

L’uomo e la montagna

Ha trentadue anni, ma non si sente un veterano. Gli infortuni gli hanno rubato molte stagioni e diverse occasioni, e le gare di Coppa del Mondo disputate non sono tantissime per un atleta della su età, una settantina, ma abbastanza da lasciare il segno. «Per qualcuno che sente il mio nome, sembro quasi un giovane che si affaccia adesso. In fondo un po’ è vero. Ho ancora margine, voglia, curiosità. Non mi sento arrivato da nessuna parte». E poi aggiunge, con quella semplicità che sembra un credo: «Posso promettere solo una cosa: resterò sempre me stesso». Forse è questa, in fondo, la misura esatta di Guglielmo Bosca. Un atleta che conosce la paura ma non la lascia vincere. Che scende con la testa di un ingegnere e il cuore di un ragazzo appena diventato padre.

Che non cerca il tempo perfetto, ma la traiettoria giusta – quella che porta sempre un po’ più in là. Adesso tocca di nuovo a lui. Una stagione da ricostruire, una fiducia da ritrovare, una storia che non ha mai smesso di cercare la sua linea. Perché nella neve di «Gugu» Bosca non c’è solo la tecnica: c’è il senso del ritorno. E ogni volta che riparte, lo fa con la calma di chi ha già conosciuto la caduta – e ha deciso che valeva la pena rialzarsi. «Non so se sarà la stagione del riscatto, Ma sarà sicuramente quella della verità. Perché quando stai bene, non serve spingere forte: basta sciare come sa».

About the author

Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

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