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Sinfonia azzurra a Mylin: lo snowboard alpino canta Italia!

A Mylin, in Cina, la nuova stagione del parallelo si apre come un’orchestra che riconosce subito il suo ritmo: quello azzurro. Maurizio Bormolini davanti a tutti, Lucia Dalmasso regina tra le donne, Elisa Caffont seconda, Aaron March terzo, Mirko Felicetti quarto. È una sinfonia compatta, sorprendente per ampiezza e armonia, perché quattro italiani sul doppio podio mondiale non sono soltanto un risultato: sono un manifesto. E il Dream Team di Cesare Pisoni, da anni avvezzo a vincere ovunque, oggi ha dato la sensazione di non avere intenzione di smettere.

La storia di questa giornata si legge già nelle qualifiche: Bormolini parte come aveva finito la scorsa stagione, da numero uno. Miglior tempo, miglior impressione, migliore sensazione di controllo. Da lì in poi, la sua run è un crescendo che non lascia spazi vuoti: prima Andreas Prommeger, poi Fabian Obmann, infine il derby azzurro con March. Bormolini non trema mai, neppure davanti a un Benjamin Karl che, in finale, ritrova come in un duello che dura da anni. Karl è uno che costringe chiunque a superarsi, ma oggi Maurizio ha lo scatto interiore che solo i grandi portano con sé: quello delle dediche non dette, dei motivi profondi. Lo conferma lui stesso, alla fine, quando con una frase breve e sincera chiude il cerchio: «Questa vittoria è per mia sorella, lei sa perché». È l’ottava della carriera, divisa equamente tra gigante e slalom, a cui va aggiunto l’oro iridato a squadre con Caffont. È un curriculum che non si ferma, anzi, si arricchisce.

La sfida per il terzo posto accende un’altra parte della storia. March parte male, sbaglia, e Felicetti sembra aver già la strada spianata verso la medaglia. Ma il gigante altoatesino, quando sente la tavola vibrare, diventa una forza che si ricompone: recupera, stringe le linee, si rimette in traiettoria. Sorpassa. Chiude. E sale sul podio per la ventunesima volta in Coppa del mondo, mentre Felicetti deve accontentarsi del quarto posto, pur avendo dentro una manche capace di far saltare il banco.

Più indietro, e fuori negli ottavi, Edwin Coratti e Daniele Bagozza, superati rispettivamente da Obmann e Payer: non il loro giorno, anche questo fa parte delle geometrie di una squadra ampia.

Il gigante femminile, invece, è un romanzo parallelo a quello maschile, con lo stesso finale azzurro. Lucia Dalmasso si prende la scena e lo fa con la naturalezza di chi sente che la giornata è dalla sua parte. Aveva chiuso le qualifiche con il quarto tempo, poi ha attraversato i turni come si attraversa un corridoio familiare: prima Gloria Kotnik, poi Tsubaki Miki, infine Zuzana Maderova, superata con un gesto netto, essenziale, quello che apre la porta della finale. Dall’altra parte del tabellone Elisa Caffont ha costruito la sua scalata con identica determinazione: prima Aurelie Moisan, poi un fotofinish coraggioso con Julie Zogg, una delle più temibili del circuito, quindi la semifinale con la bulgara Zamfirova, dove si è presa con autorità il pass per la sfida tricolore.

E così, nella finale che valeva il titolo, Dalmasso e Caffont si sono ritrovate come se fossero a casa, nello stesso clima di complicità che le accompagna negli allenamenti. Lo dirà Lucia alla fine: «In finale con Elisa sembrava una sessione infrasettimanale. Una sensazione bellissima». Ha vinto lei, per la terza volta in Coppa del mondo. Elisa Caffont, seconda, firma invece il miglior risultato della sua carriera dopo una sequenza di terzi posti che aveva già mostrato la direzione in cui stava andando.

Le altre azzurre si fermano in qualifica, da Elisa Fava a Sofia Valle, da Rabanser a Messner, Hofer e Lanrschner. Ma il segnale resta potente: una squadra intera che cresce, un livello che si allarga, una profondità tecnica che raramente si era vista così compatta.

Domani si ricomincia, stessi orari, stesso format, stessa musica. Se sarà ancora sinfonia azzurra, lo dirà la montagna.
Oggi, però, la tavola ha già suonato forte. E ha suonato Italia

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Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

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