Dietro la fotografia del cronometro, la Gran Risa racconta però altro. Una pista che non restituisce velocità, una neve asciutta e aggressiva che chiede essenzialità e tempismo più che forza. Chi ha provato a “fare” lo slalom lo ha pagato, chi ha lasciato correre lo sci è rimasto agganciato.
Clément Noël ha costruito il comando proprio così: senza impressionare, ma togliendo il superfluo. Linee dritte, pochi movimenti, la capacità di raddrizzare dove altri allargano. Dietro, Atle Lie McGrath e Loïc Meillard restano in scia con interpretazioni diverse, entrambi però ancora pienamente dentro la gara.
La sorpresa relativa è la solidità di Fabio Gstrein, pulito e continuo, mentre Timon Haugan paga qualcosa nel tratto centrale, quello che più di tutti ha creato differenze. Bene anche Samuel Kolega, capace di risalire grazie a un finale molto efficace.
Il segnale azzurro più forte arriva però da Alex Vinatzer. Pettorale 19, pista già segnata, eppure una manche intelligente: controllata sopra, aggressiva sotto. Secondo tempo di settore nel finale, sci che scorrono dove altri si piantano. Non è una prova urlata, ma è una prova che pesa.
Subito dietro, la seconda linea di pericolo: Paco Rassat è incollato, Henrik Kristoffersen resta sotto il secondo nonostante una parte alta faticosa, Tanguy Nef è lì, mentre Eduard Hallberg e Lucas Pinheiro Braathen chiudono a un secondo tondo.
È una prima manche che non chiude nulla. Anzi: apre tutto.
La Gran Risa ha rallentato il gioco, ma non ha ancora scelto il vincitore. La seconda sarà una questione di nervi, lettura e centimetri. E, qui, i centesimi non sono un dettaglio: sono la sostanza.
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