«Ieri Lindsey ha fatto un giro pauroso. Oggi io ero più convinta anche di me stessa.» Sofia Goggia parte da qui. Non da una classifica, non da un podio. Parte da una sensazione interna, da un confronto diretto con se stessa prima ancora che con le avversarie.
«Non la prendo come una scusa – lo dico chiaramente – ma vengo da due mesi in cui ho fatto prevalentemente solo gigante. A Copper Mountain le temperature erano talmente alte che non siamo riuscite ad allenarci in velocità: non c’era la pista, non c’era la neve. Era praticamente dalla Parva che non facevo una discesa vera.»
La sua gara di St. Moritz nasce da lì. Da un avvicinamento spezzato, da prove incomplete, da fiducia da ricostruire. «Ho fatto una prima prova buona, una seconda da cancellare per il meteo, perché non mi sono assolutamente fidata e ho tirato il freno a mano. Ieri un buon giro, ma con delle imperfezioni. Oggi invece avevo più pelo sullo stomaco.»
La discesa di oggi è più aggressiva, più presente. Non perfetta. Sofia lo sa e lo dice. «Peccato per quel piede sinistro che mi ha portata bassissima. Lì per lì ho pensato: non riesco nemmeno a prendere la porta dopo. Essendo fuori linea ho incontrato anche un po’ di neve più molle, ho provato a far lavorare lo sci in costa, ma avevo chiaramente perso la spinta.»
Il cronometro racconta cinque centesimi da Lindsey Vonn. Sofia racconta qualcosa di più preciso. «È un errore importante. Cinque centesimi da Lindsey, due decimi e mezzo dalla prima… un errore vero. Però la confidenza in discesa viene giro dopo giro. È un rodaggio continuo su sé stessi.»
Poi il discorso cambia tono. La gara resta sullo sfondo. Entra la storia. «L’anno scorso, a ottobre, ero a Salisburgo all’Atomic Media Day. Si vociferava del possibile rientro di Lindsey. Tornata in hotel, la sera, l’ho chiamata.»
Sofia si ferma un attimo, poi continua. «Lei mi ha detto: “Guarda, da quando mi hanno messo la protesi sto meglio di quando ho smesso. Voglio darmi una possibilità. So che sarà difficile, ma voglio provarci, magari per Cortina”.»
La risposta di Sofia è netta, senza esitazioni. «Le ho detto: se c’è qualcuna che può farlo, quella sei tu. Perché parliamo di una campionessa dalla caratura enorme, una fuoriclasse che ha dominato per anni.». Poi quasi sorridendo, aggiunge il dettaglio che oggi pesa come una profezia. «Le ho detto anche: sarebbe un sogno ritrovarci di nuovo sul podio insieme.»
Oggi, sulla Corviglia, quel sogno è realtà. Non con una vittoria azzurra, non con una vittoria americana. Ma con entrambe lì, a giocarsela. «Ovviamente a tutte e due piace vincere – dice Sofia – e sarebbe piaciuto magari duellare per il primo posto. Però siamo contentissime. Siamo sul podio insieme.»
Lindsey Vonn, a pochi metri da lei, risponde senza diplomazia. «Abbiamo sbagliato entrambe nello stesso punto. È bello essere sul podio insieme, ma vogliamo vincere. Accettiamo il podio, sì, ma cerchiamo sempre di più.» Sofia ascolta, annuisce. E poi chiude tornando indietro nel tempo. «Quando ero più giovane, quando ero in Coppa Europa, la guardavo sempre. Vinceva, dominava. E io mi chiedevo: ma un giorno proverò anche io quelle emozioni?»
Le ha provate. E oggi, a St. Moritz, le ha condivise. «Nel 2018 abbiamo duellato tanto. Ci sono tutti i presupposti per una stagione entusiasmante. Anche per questo domani, in SuperG, ce la venderemo cara. Tutte. Anche lei.»
Non è nostalgia. Non è celebrazione. È competizione pura, detta senza filtri. Con la voce di chi sa che le promesse vere non si ricordano: si sciano.






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