«Qui mi sentivo bene. Ho aspettato. Poi ho spinto quando serviva».
Tommaso Giacomel la spiega così, senza giri, la mass start di Annecy-Le Grand Bornand. E in effetti la gara è tutta lì: una corsa presa per mano, accompagnata, poi messa in riga quando gli altri hanno cominciato a perdere pezzi.
Il tempo dice 33’35”1, ma non dice abbastanza. Perché Giacomel questa 15 chilometri non l’ha vinta per caso, né per combinazione astrale, né perché gli altri hanno sbagliato più di lui. L’ha vinta perché ha scelto di farla sua. Davanti sugli sci, lucido al poligono, calmo quando intorno iniziava a montare la solita confusione da mass start.
All’inizio sono tutti lì, come sempre. Gruppo compatto, ritmo alto, gomitate silenziose. Giacomel non si agita. Sta dentro, guarda, lascia che siano altri a fare i fenomeni. Poi la pista comincia a chiedere il conto, come fa sempre a Le Grand Bornand, e lì Tommaso cambia passo. Non uno strappo secco, ma una progressione continua: frequenza alta, sciata fluida, nessun metro buttato. È in quel momento che “fa il vuoto”, come dice la telecronaca. E non è una frase emotiva: è biathlon puro.
Il primo poligono in piedi porta un errore. Uno solo. Roba che a molti farebbe venire l’ansia, il pensiero di aver compromesso tutto. A lui no. Anzi, sembra quasi una conferma: la gara non deve essere perfetta, deve essere gestita. Da lì in avanti Giacomel cambia registro, soprattutto a terra. I due poligoni a terra sono un manuale di maturità: tempi leggermente più lunghi rispetto ad altre gare, niente foga, bersagli che cadono uno dopo l’altro. Qui la gara si decide davvero, ed è qui che Tommaso dimostra di sapere quando sparare, non solo come.
Dietro provano a rientrare. Eric Perrot (Francia) è l’unico che resta vagamente in scia, ma senza mai dare la sensazione di poterlo prendere davvero. I 18 secondi finali raccontano una distanza che non viene mai colmata. Più indietro Vetle Sjaastad Christiansen (Norvegia) e Justus Strelow (Germania) se le danno di santa ragione per il podio, in una volata vera, dura, di quelle che fanno male alle gambe e ai polmoni. Bella, per carità. Ma riguarda il secondo e il terzo posto. La vittoria, da tempo, corre altrove.
Nel frattempo Giacomel va da solo. Non deve rispondere agli strappi, non deve controllare a vista, non deve fare calcoli. Può permettersi di gestire, di guardare avanti, perfino di godersi gli ultimi chilometri. In radiocronaca lo dicono senza pudore: questa è una vittoria che si può gustare fino al traguardo. Frase rarissima nel biathlon moderno, dove di solito si arriva con il cuore in gola.
Quando entra nel rettilineo finale, la pista è sua. Via il bastoncino, come si fa nei giorni grandi. Le braccia aperte, i baci, quella faccia lì che dice tutto. Non c’è sorpresa, c’è consapevolezza. È la seconda vittoria stagionale, la terza nell’anno solare. Tradotto: nessun altro italiano, quest’anno, ha vinto due gare di Coppa del Mondo nel biathlon. E non stiamo parlando di uno sport tenero: qui il livello è feroce, il margine minimo, la concorrenza spietata.
La telecronaca, a un certo punto, tira fuori i nomi grossi. Ole Einar Bjørndalen, Martin Fourcade. Non per fare paragoni azzardati, ma per spiegare una sensazione precisa: dominio. Giacomel oggi non vince perché tutto gli gira bene. Vince perché è più completo. Sugli sci, al poligono, nella testa.
E mentre davanti la gara è già scritta, dietro spunta anche il sorriso di Campbell Wright (Stati Uniti), settimo, uno di quei volti che raccontano come il biathlon stia cambiando pelle e geografia. Ma il centro resta uno solo, e corre davanti.
C’è infine un dettaglio che vale più di tanti discorsi. In una stagione olimpica in cui lo sci alpino ritrova Sofia Goggia, lo short track esulta con Pietro Sighel, la pista lunga applaude Giovannini, è Tommaso Giacomel il primo italiano a vincere due gare nel biathlon. Un segnale che va oltre la singola domenica e dice qualcosa di un movimento che cresce senza fare rumore. Alla fine resta una parola sola, quella che torna più volte anche in radiocronaca: maturità.
Maturità sugli sci. Maturità al poligono. Maturità nel capire quando spingere e quando difendere. Giacomel oggi corre come uno che sa esattamente cosa vale. E quando arrivi lì, non serve altro. Basta guardarlo andare.






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