Beaver Creek non gli ha regalato nulla: Alex Vinatzer se l’è preso. Tutto.
La miglior manche della vita in gigante, un secondo posto da brivido dietro a Odermatt, la conferma che la specialità che per anni sembrava un terreno instabile oggi è diventata casa.
E, soprattutto, le parole giuste. Quelle che arrivano quando hai appena rotto un muro che ti porti dietro da troppo tempo.
«La gara è andata benissimo» racconta Alex, con quella lucidità che arriva solo quando hai la certezza di aver fatto ciò che volevi fare. «Già nella prima manche era andata meglio delle ultime due gare nella prima parte, sapevo di avere ancora qualcosa da giocarmi per la seconda. Ho provato a spingere, senza paura, prendendomi anche qualche rischio in alcune situazioni. Ma su questa neve mi sentivo molto veloce e capivo che tutto stava andando per il verso giusto».
È proprio lì, in quel “senza paura”, che si capisce cosa sia davvero successo sul Golden Eagle.
Non una manche all’arma bianca, ma un equilibrio feroce: rischiare dove serviva, trattenere quando la pista si faceva più scura, leggere il segno invece di subirlo. Per questo la seconda run non è stata solo veloce: è stata matura.
«Alla fine è andata molto bene» continua Vinatzer. «È il primo podio in gigante della mia carriera, una grandissima soddisfazione alla quale stavo lavorando da molto tempo. Porto via dagli USA sensazioni bellissime e spero di portare questo flow anche per le gare europee».
Il podio, in questo caso, è molto più di un podio. È un’inversione di rotta. È la prova che quel talento, per anni intravisto, ha finalmente iniziato a camminare nella direzione giusta. È anche una conferma numerica: con i punti raccolti a Beaver Creek, Vinatzer sale al quarto posto nella classifica di specialità, con 157 punti. Davanti a lui ci sono solo i tre monarchi del gigante contemporaneo: Odermatt e Brennsteiner, appaiati a 200, e Kristoffersen, a 176.
In mezzo a loro, ora, c’è Alex. Non per un giorno: per appartenenza. E Beaver Creek, oggi, glielo ha detto chiaro






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