La storia della prima manche si scrive in tre nomi e in un distacco che pesa come una sentenza provvisoria: Alice Robinson comanda, Zrinka Ljutić la insegue a trentatré centesimi, Mikaela Shiffrin risale fino al terzo posto a quarantanove.
Tutto il resto è un gigante che inganna, che sembra facile finché non arrivi sull’ultimo dosso e scopri che non c’è un metro che ti regali nulla.
Mont-Tremblant accoglie il gigante con la sua luce piatta, una nevicata sottile, un dosso cieco più cattivo rispetto al 2023 e una tracciatura croata che non dà appigli. È il classico giorno in cui la pista sembra fare finta di essere semplice e poi, curva dopo curva, ti strappa via la velocità.
La prima a capirlo davvero è proprio Robinson, che tiene alta la linea dove tutte le altre scendono troppo, evita i riporti, non anticipa mai, non taglia mai. Nella parte finale, dove la pista allunga ma non spinge, trova velocità come se la neve avesse improvvisamente deciso di fidarsi di lei. La sua è una manche da maturità: niente forzature, ma decisione. È la migliore interpretazione possibile di un gigante scritto per punire l’istinto.
Zrinka Ljutić, prima di lei, aveva messo un tempo importante, costruito con ordine sul muro e con un coraggio controllato nella parte centrale, la più ingannevole della manche. Le manca solo il finale che fa la differenza: quello che la neozelandese ha trasformato in una lama.
Poi c’è Shiffrin, il capitolo che non ti aspetti in condizioni di visibilità così instabili. Dal dosso in poi costruisce una sciata fluida, diretta, sorprendentemente “stretta” nelle linee. Resta nel ritmo quando la pista diventa aritmica, non si fa trascinare in basso, non regala un metro. E nell’ultimo tratto, dove tante si perdono, rimane lucida. Il suo terzo posto vale molto più di un piazzamento: è la prova che il gigante sta tornando nelle sue mani.
Dietro il podio la gara si assottiglia e s’inaridisce. Stjernesund tiene una manche solida e resta a ridosso delle prime; Grenier, sulla pista dove è cresciuta, paga un paio di curve troppo lunghe nella parte centrale; Camille Rast interpreta il tracciato con intelligenza, senza mai andare in sofferenza sui riporti. È un blocco compatto, ma distante: il podio, per ora, è un’altra cosa. In grande difficoltà Lara Colturi probabilmente disturbata dalla condizione atmosferica. Di fstto non è riuscita ad adattare la sua sciata a una neve molto facile e a una pista resa insidiosa da gobbe e piccoli cambi tra ripido e piano. 27esimo tempo, aspettiamola nella seconda manche perché è probabile recuperi diverse posizioni.
E l’Italia?
Il capitolo azzurro è fatto di sfumature più sottili del previsto. Sofia Goggia scia un muro da atleta piena, convinta, precisa, e trova sensazioni buone anche sui primi cambi di pendenza. Ma sul piano, dove oggi si decide tutto, paga qualche metro di troppo: il gigante chiede continuità, lei per un attimo la perde. Finisce comunque vicina al gruppo che conta, abbastanza vicina da pensare a una seconda manche d’attacco.
Più indietro la geografia si complica. Lara Della Mea, 23esima, parte forte e poi si incastra nei riporti; Ilaria Ghisalberti, 27esima, alterna un muro solido a una parte bassa troppo rigida. Giorgia Collomb e Asja Zenere faticano soprattutto sul piano, che oggi è un giudice inflessibile. Sono entrambe fuori dalle top 30 per pochi centesimi! Una grossa chance sprecata considerando l’esiguo numero di atlete iscritte, solo 50.
La manche, in fondo, vive qui: non sul muro, ma sul tratto apparentemente facile, quello in cui la neve “scruma”, la visibilità si appiattisce e ogni tentazione di tagliare diventa un errore. È un gigante che va interpretato più che attaccato, un gigante che premia chi sa adattarsi, non chi forza.
Davanti, però, la fotografia è nitida: Robinson, Ljutić, Shiffrin. Tre stili diversi, un’unica lettura corretta.
La seconda manche dovrà decidere se cambiare la gerarchia o se confermarla: ma sarà un’altra pista, un’altra tracciatura, un altro gigante.
La classifica della prima manche






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