Ad Asiago oggi c’è un silenzio diverso. Non quello della neve che cade, ma quello che resta dopo una notte difficile.
Tre ragazzi — Nicola Xausa, Riccardo Gemo e Pietro Pisapia — hanno perso la vita in un incidente stradale sull’Altopiano. L’auto su cui viaggiavano ha probabilmente urtato un cordolo, capottando e fermando la sua corsa al centro di una rotonda.
Erano amici, poco più che ventenni, legati da un’amicizia semplice e da una passione profonda: lo sci.
Cresciuti tra le piste e le scuole di montagna, tra i cancelli dello Ski College Veneto Falcade, dove si impara che la fatica non è un ostacolo ma un linguaggio, dove ogni curva insegna rispetto e misura.
Uno di loro stava per concludere il corso maestri, un altro lo era già, pronto a trasmettere quella conoscenza che nasce dal freddo, dalla neve, dal contatto diretto con la montagna.
Avevano scelto di restare vicini alla loro terra, di costruirsi un futuro tra gli sciatori e per gli sciatori. È questo che oggi fa più male: la consapevolezza che il loro sogno si era già messo in cammino, e che la montagna li aveva già accolti come suoi figli.
Asiago li piange e li abbraccia. E con essa tutta la comunità dello sci — maestri, tecnici, sci club, comitato, compagni di scuola, di squadra e di vita — insieme alle famiglie che condividono la stessa lingua del silenzio e il dolore straziante delle loro madri e dei loro padri.
Chi vive la montagna sa che l’appartenenza non finisce mai. Resta nelle piste, nei rifugi, nei ricordi che il freddo non cancella. Non è cronaca, è memoria. È un segno inciso sull’altopiano, che il tempo non scioglierà.
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