Il fisioterapista di J|medical con vent’anni di esperienza che segue Federica Brignone svela un percorso complesso e umano: equilibrio, fiducia e piccoli progressi quotidiani verso il ritorno
Parlare con Federico Bristot significa scoprire non solo il fisioterapista esperto, con vent’anni di carriera alle spalle, ma soprattutto l’uomo che sta accompagnando Federica Brignone nel recupero più complesso della sua vita sportiva. Un professionista del centro d’eccellenza J|medical di Torino che si è caricato sulle spalle non solo un ginocchio lesionato, ma anche la responsabilità di ridare a una campionessa la libertà di sentirsi sé stessa.
Federico, sei entrato in gioco subito dopo l’intervento. Da dove sei partito?
Quando l’ho rivista pochi giorni dopo l’operazione, la gamba era gonfia dappertutto: caviglia, ginocchio, persino l’altra caviglia. Il primo passo non è stato un grande gesto tecnico, ma qualcosa di semplice: ridarle un po’ di mobilità, lavorare sul drenaggio, prevenire l’atrofia con l’elettrostimolazione. È stato un inizio fatto di attenzione quotidiana, di piccoli gesti, che servivano più a restituire fiducia che a correre verso i gradi di flessione.
Che tipo di programma avete costruito?
Non esisteva un protocollo scritto, perché il suo era un infortunio multiplo, rarissimo. Frattura scomposta con affondamento del piatto tibiale, perone scomposto, danni a legamenti, menisco, capsula, cartilagine. Un ginocchio così non lo trovi nei manuali, lo devi leggere giorno per giorno. La priorità era non disturbare ciò che stava guarendo: lasciare in pace il collaterale, non stressare l’osso, non compromettere il menisco. Abbiamo costruito un percorso unico, cucito addosso a lei, sempre condiviso con medici e allenatori.
Nella pratica quotidiana quali strumenti sono stati decisivi?
Abbiamo sfruttato molto il blood flow restriction: crei una condizione di ipossia al muscolo e ottieni stimoli da carico pur senza poterlo davvero caricare. Poi l’acqua: lì dentro Federica ha potuto camminare prima ancora di poter appoggiare il piede, e questo l’ha aiutata moralmente. L’AlterG, il tapis roulant antigravitazionale, è stata un’altra tappa: partire al 40% del peso, come camminare sulla Luna, e farla correre quando ancora non era «permesso» dalla gravità. Tutto il resto – elastici, isotoniche, esercizi funzionali, progressione dei carichi – è arrivato gradualmente. Ogni fase, un piccolo traguardo.
Ci sono stati momenti di crisi?
Penso a uno in particolare, dopo l’artroscopia di controllo, quattro mesi dopo l’infortunio. Le aspettative erano alte, e nei primi giorni sembrava di aver fatto un passo indietro. È normale, ma per lei, che vive di obiettivi, è stato pesante. Abbiamo capito che serviva stare calmi, perché il ginocchio aveva solo bisogno di tempo. In pochi giorni il gonfiore è calato, la mobilità è migliorata e da lì siamo ripartiti con grande slancio. È stata brava lei a non farsi travolgere dalla delusione.
Come ha reagito Federica emotivamente a un percorso così lungo?
Con grande equilibrio. Ho visto atleti crollare in depressione o diventare ossessionati dal rientro. Lei no. È stata centrata, capace di accettare i tempi, di prendersi i suoi spazi nei weekend per restare anche una donna e non solo un’atleta chiusa in palestra. È autonoma, esigente con sé stessa, eppure ha saputo leggere i piccoli progressi quotidiani. Quello, per me, è stato il suo vero punto di forza.
Quanto conta la fiducia reciproca?
Conta tutto. Io dico «dieci», lei fa dieci. Io dico «mille», lei fa mille. Non mette in dubbio, non forza, non chiede scorciatoie. Mi ha consegnato fiducia totale, e questo ha reso possibile un lavoro che, sinceramente, ha quasi del miracoloso. Ho passato notti senza dormire, con la responsabilità di non sbagliare nulla. Poi ho capito che dovevo mettermi nella stessa mentalità che lei ha in gara: rendere possibile ciò che sembra impossibile.
Come si è svolta la collaborazione con medici e allenatori?
In maniera costante e trasparente. Con i medici Andrea Panzeri (Presidente commissione medica Fisi) e Luca Stefanini (Direttore Generale di J|medical e Responsabile dell’Area Medica della Juventus) abbiamo monitorato ogni passaggio, Davide ha mostrato grande fiducia e mai invaso il campo. In generale tutto lo staff federale è stato presente e ha seguito ogni passo del lavoro di Federica. Quando abbiamo parlato di rientro sugli sci, ci siamo detti una cosa chiara: ogni giorno si farà solo quello che quel ginocchio può sostenere. Nessuna fretta, nessuna pressione esterna. È un mantra che ci siamo ripetuti e che dovrà valere anche quando tornerà sulla neve.
E ora, quali sono i prossimi passi?
Siamo ancora in fase fisioterapica: ci sono da consolidare forza, mobilità, controllo del dolore. A novembre valuteremo se rimettere gli sci ai piedi. Lì inizierà la fase più delicata, quella che deve trasformare la riabilitazione in gesto sportivo. Non basta dire «è guarita»: bisogna ridare al ginocchio la memoria del suo sport, e questo richiede cura e pazienza.
Se dovessi descrivere Federica con tre parole?
Disciplinata, perché non deroga mai al lavoro. Centrata, perché riesce a restare sé stessa, anche quando la fatica rischia di travolgerla. Attaccante, perché pretende sempre qualcosa in più. E aggiungo: ha una voglia infinita di sciare e gareggiare. È quello il suo vero motore.
Che dire… in un recupero così lungo e complesso, la differenza non la fanno solo le macchine o i protocolli, ma le persone. Federico Bristot non è soltanto il fisioterapista che misura gradi di mobilità o pianifica esercizi: è l’uomo che, con pazienza e passione, ha trasformato la fragilità di un ginocchio in una sfida condivisa. È la sua presenza silenziosa, la sua capacità di dare fiducia e di leggere i progressi invisibili, a rendere possibile ciò che sembrava quasi impossibile. In un certo senso, anche lui appartiene alla stessa razza di chi non si arrende, ma porta dentro lo stesso coraggio di Federica, la stessa volontà di spingersi oltre i limiti.
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