Il gigante di Beaver Creek si apre con un riferimento immediato: Marco Odermatt. Lo svizzero chiude in 1’08”80, una manche che non somiglia a un assolo ma a un esercizio di precisione. Parte alto con cautela sulla neve più morbida, poi nel muro trova la chiave: transizioni pulite, appoggi puliti, nessuna sbavatura. È la sua risposta a una pista che in passato gli aveva sempre negato il podio, la dimostrazione che per interpretare questa neve serve più lucidità che aggressività.
A 86 centesimi si incollano Lucas Pinheiro Braathen e Henrik Kristoffersen, insieme ma per ragioni opposte. Il primo costruisce velocità dal medio in giù senza mai perdere continuità; il secondo sbaglia molto in alto, fatica a fidarsi nei primi movimenti, poi sul ripido si trasforma: firma il miglior tempo di settore e rientra a pieno titolo nella partita per il podio. Entrambi restano lì, abbastanza vicini per pensare che la seconda manche non sia blindata.
Thibaut Favrot, a +0”91, mostra una delle interpretazioni più pulite del muro; Thomas Tumler, a +0”94, tiene insieme un tracciato tecnico con ordine e ritmo; Stefan Brennsteiner, sesto a +1”11, stupisce perché riesce a rimanere competitivo nonostante abbia sciato tre quarti di gara con un solo bastoncino, perso proprio all’ingresso della parte decisiva. Più indietro ma pienamente in gioco restano Fabian Gratz, settimo a +1”18, Loïc Meillard, ottavo a +1”23, e Alexis Pinturault, nono a +1”29, finalmente più solido che a Copper Mountain.
La miglior notizia per l’Italia è Alex Vinatzer. Il gardenese chiude decimo in 1’10”11, a 1”31 da Odermatt, con una manche che non brilla per un singolo acuto ma convince per continuità. In alto è pulito; sul muro, dove si è costruita la gerarchia della manche, resta sempre in linea; in fondo trova una delle migliori velocità tra gli atleti del suo gruppo. È un segnale forte, soprattutto in una disciplina dove servono conferme più che lampi.
Dentro la fascia dei primi venti, Filippo Della Vite (24°) riesce a ritrovare una sciata più diretta, chiudendo in 1’10”84 (+2”04). L’errore nel secondo settore pesa, ma il finale è convincente e soprattutto costruito: non un caso, ma una scelta. Poco dietro Giovanni Borsotti, +2”17 (29°), si tiene dentro grazie a un tratto centrale gestito con mestiere dopo aver lasciato troppo nella parte alta. In difficoltà, invece, Luca De Aliprandini, che termina la manche in 1’11”12, a +2”32. All’arrivo lascia trapelare irritazione, attribuendo parte del distacco alle condizioni della pista: un malumore comprensibile a caldo, ma poco supportato dai tempi, perché il ritardo più marcato arriva nella parte alta e nella sezione centrale, gli stessi punti in cui altri atleti, con pettorali simili, hanno contenuto meglio. Non si qualifica!
Il resto del campo è compresso in un equilibrio stretto. Marco Schwarz, Sam Maes, Timon Haugan, Leo Anguenot, Atle Lie McGrath, Zan Kranjec e River Radamus restano tutti ampiamente dentro i due secondi, con differenze minime generate soprattutto dal modo in cui ciascuno ha saputo entrare nel muro o uscire dal piano centrale. Interessante anche la progressione di Joan Verdu, +1”82, pulito nella parte alta e leggermente più sporco sotto; quella di Alexander Schmid, +1”85, regolare ma senza accelerazioni vere; e la gara compatta di Flavio Vitale, +1”87, tra i pochi a sfruttare bene il segno nel momento in cui la neve si è assestata davvero.
Il quadro finale racconta una pista che, dopo i primi quindici, si è stabilizzata. La visibilità è migliorata, il segno è diventato più leggibile, la neve più uniforme. Non a caso proprio in quella fase si sono inseriti Verdu, Vitale e Radamus, che hanno saputo sfruttare una condizione finalmente regolare. Gli atleti più esperti, come Zubcic e Patrick Feurstein, si devono fermare per eccesso di ritardo!
La seconda manche, ora, si giocherà su un margine stretto. Odermatt ha la pista in mano ma non la vittoria in tasca; Braathen e Kristoffersen hanno abbastanza ritardo per dover rischiare, ma anche abbastanza velocità per provarci. Dietro, dal quarto al dodicesimo posto, è tutto aperto: basta una manche piena per riscrivere la top five.
L’Italia ci arriva con un riferimento chiaro: Vinatzer. Per gli altri, la seconda manche dovrà essere un esercizio di lucidità più che di aggressività. In giornate come questa è facile guadagnare cinque posizioni; è ancora più facile perderne dieci.






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