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I discesisti non sono kamikaze

Località turistiche, strutture, tecnologie, attrezzature, prodotti sportivi e non, personaggi di ogni tipo, ex campioni, ex e basta. Tutti cercano visibilità nel circo bianco. Pagandola o facendola pagare ad altri. È strategia recente quella di voler “portare” il pubblico, oltre alla massa spettatrice al traguardo, anche in alto, lungo il tracciato di gara. Per riuscirci bisogna garantire però una “suspense” ed uno spettacolo anche in quei tratti. Per tanto, nuove gobbe, dossi, salti, passaggi con porte direzionali su traverse in contropendenza (in buona parte “a sorpresa” da un’edizione all’altra della gara),… Tutto garantendo più spettacolo, ma anche realizzando nuovi rischi, nuovi punti pericolosi, nuovi incidenti gravi.
È perfettamente inutile affermare, come fanno i responsabili di queste gare (naturalmente dopo il terribile incidente di Grugger a Kitzbühel), che si sono investite cifre molto importanti per rendere più sicura una pista. Mentre, in altra sede, gli stessi operatori affermano con malcelato orgoglio che la Streif risulta essere la pista di gara più pericolosa del circo bianco. Qui siamo alla storiella dell’adolescente che non andava a donne perché aveva i brufoli, ma li aveva perché non ci andava!
Invece di rendere una pista di discesa di Coppa del Mondo sempre più pericolosa – nel nome dello spettacolo voluto e ricercato, per poi dover forzatamente limitarne la pericolosità dopo l’immancabile incidente tragico (spendendo soldi in interventi e protezioni) – meglio sarebbe, come l’etica sportiva insegna, rendere queste piste più impegnative dando modo all’atleta di esprimere al meglio il suo gesto sportivo. Questo senza dover fare i conti con inaccettabili rischi, con l’azzardo o la fortuna. Lo spettacolo che affascina le masse, soddisfacendo organizzatori e sponsor, sarebbe comunque garantito.
In altri sport di velocità ci si è dati una regola: i “fissati” della velocità a tutti i costi (aumentata sistematicamente) si sono posti importanti ed obbligate domande, cercando e trovando soluzioni che hanno limitato le tragedie e valorizzato lo sport.
Chissà se i responsabili degli impianti per le gare di bob delle passate Olimpiadi di Vancouver avranno avuto le stesse reazioni dopo i terribili incidenti e la morte di un giovane atleta.
Didier Cuche, coraggiosamente, la sera dopo aver vinto sulla Streif per la quarta volta, ha detto che l’atleta può avere paura, che la velocità in gara sta aumentando esageratamente e che “è ora di fermarsi a riflettere”. Ci sono delle prove prima di ogni gara, ma anche durante queste prove si rischia esageratamente, finendo col ferirsi in modo grave. I responsabili, da parte loro, affermano che gli atleti possono pur sempre decidere se gareggiare o meno dopo aver provato la pista. Tralasciando il fatto che da una prova all’altra e da queste alla gara, la situazione meteorologica e quella nivologica (e di conseguenza lo strato della coltre nevosa) possono mutare completamente, rendendo pericolosi alcuni tratti o l’intero tracciato. Che cosa vorrebbero i responsabili delle competizioni? Vorrebbero far credere che se uno o più atleti criticano situazioni negative, questi dovrebbero rinunciare alla gara e tornarsene a casa con la “benedizione” del team, della nazionale, degli sponsor e del pubblico?
Cercate piuttosto, cari amici del circo bianco e responsabili delle discipline veloci, di trovare i correttivi che si impongono. Pensate a quanto è accaduto e a quanto potrà ancora accadere. Lasciate perdere interventi coercitivi come quello inflitto ad un atleta di punta come Ivica Kostelic che ha “osato criticare” (sempre a Kitzbühel) prevenzione, sicurezza e soccorsi dopo gli incidenti a Grugger e all’italiano Siegmar Klotz. Questo tipo di interventi non fa bene a nessuno e soprattutto non aiutano né a migliorare la sicurezza, né a limitare gravissimi incidenti.

L’articolo è stato gentilmente concesso dal settimanale ticinese d’attualità il caffè (www.caffe.ch)

* Pierre Pedroli (Vice presidente sicurezza Fips) è esperto di sicurezza in montagna e sulle piste da sci. È vicepresidente della Fips, la Federazione internazionale dei pattugliatori sulle piste da sci e membro onorario del DSI, la federazione dei direttori delle stazioni invernali italiane. Ha collaborato con i soccorritori ai Giochi di Torino e con la società di protezioni SPM, che si occupa di reti e materassi ad aria per molte gare della Coppa del Mondo di sci.

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Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

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