C’è una frase di Jacques Lacan, uno dei più influenti psicoanalisti del Novecento che sembra fatta per raccontare lo sci più che la psicoanalisi: il desiderio non vuole essere soddisfatto, vuole continuare a desiderare.
Lo prendi per un attimo, credi di averlo stretto, e invece lui è già un passo più avanti. È così che si rimane vivi. È così che si cresce.
Forse per questo, oggi, la squadra italiana delle gigantiste di Coppa Europa sembra un organismo in movimento continuo: non un team, ma una corrente.
Tre giganti, tre vincitrici diverse.Laura Steinmair, poi Ambra Pomarè, oggi Alice Pazzaglia.
Tre modi differenti di entrare nella stessa porta, tre modi diversi di spostare più in là il limite.

E non è un caso che Steinmair e Agnelli, seconda oggi e protagonista quanto e come le altre, arrivino dai Corpi Militari, non dalla Squadra B. È una presenza che completa il quadro: non un’élite separata, ma un elemento che alza il livello generale, un dialogo costante che arricchisce chi ci convive.
Dentro questa energia collettiva si muovono anche le altre ragazze della Squadra B femminile, che forse non hanno ancora vinto tre giganti in fila, ma hanno fatto qualcosa che vale allo stesso modo: stanno bussando. E a forza di bussare, prima o poi, le porte vengono giù.
C’è Annette Belfrond, capace di risalire posizioni con una lucidità da veterana. C’è Tatum Bieler, regolare, solida, sempre più vicina a un risultato che la metta al centro della scena. C’è Francesca Carolli, che ha già mostrato due o tre passaggi da atleta “di là”, di quelle che sanno leggere la neve più che domarla e che aspetta solo di riprendere il giusto ritmo dopo l’infortunio della passata stagione.
C’è Sophie Mathiou, esplosiva quando la curva le risponde, frenata quando non le restituisce ciò che chiede: il tipo di incompiutezza che precede le svolte.
E c’è Giulia Valleriani, giovane, affamata, con quella luce negli occhi che assomiglia molto alla parola “presto”.
Sono loro a dare sostanza all’idea di desiderio. Perché nessuna di loro è arrivata: tutte stanno arrivando. E mentre avanzano, tengono acceso il motore della squadra.
In mezzo a loro, come cardini, ci sono tecnici che stanno facendo un lavoro quasi invisibile e per questo ancora più fondamentale.
Il responsabile Damiano Scolari ha dato una direzione chiara: crescere una generazione che non voglia imitare nessuno, ma diventare sé stessa. Gli allenatori Gianluca Grigoletto e Lorenzo Moschini, l’allenatore e preparatore atletico Edoardo Polverini, l’allenatore e skiman Giorgio Anselmicchio, gli skiman Edoardo Papotti e Nicolò Papa e la fisioterapista Livia Magnatti lavorano “sul loro” e sulle sfumature: tempi, appoggi, percezioni, rischi calcolati. Tutti presi per mano da Gianluca Rulfi che sorveglia dall’alto.
In piedi, da sinistra: Gianluca Grigoletto, Damiano scolari, Lorenzo Moschini, Nicolò Papa, accosciati, da sinistra: Lisa Magnatti, Edoardo Papotti, Giorgio Anselmicchio ed Edoardo Polverini
La forza di questi tecnici è la continuità. La loro bravura è non rubare mai la scena, ma costruirla per chi ci deve salire. Ed è qui che Lacan diventa improvvisamente uno scrittore di sport. Il desiderio non si chiude. Non si appaga. Si sposta. E spostandosi – come la linea perfetta di un gigante – crea movimento.
Steinmair apre la strada, Pomaré la allarga, Pazzaglia la illumina. Agnelli corre accanto, senza chiedere permesso. Dietro, ma sempre più vicine, Belfrond, Bieler, Carolli, Mathiou e Valleriani lavorano come chi sa che il proprio turno arriverà, perché sta già arrivando. Ed è un grande peccato che tra loro non possa esserci Alessia Guerinoni che si è disfatta un ginocchio
È un’Italia che non vive di singole. Vive di desiderio condiviso. E quando una squadra desidera così, non si accontenta di salire: vuole stare dove la vittoria sembra un’ipotesi ragionevole, non un sogno distante.

La Coppa del Mondo le guarda. Loro, dietro, sorridono. Perché il desiderio corre avanti – e loro, insieme, stanno correndo più veloci.
E allora torniamo ancora al pensiero di Lacan: il desiderio non è una meta. È una ferita che brilla. Una mancanza che non fa male: chiama.
E chi la sente davvero non vuole chiuderla, vuole soltanto seguirla finché la neve tiene, finché le gambe reggono, finché il muro si apre e ti dice che sì, oggi puoi provarci.
È questo che muove le gigantiste italiane oltre al lavoro tecnico dei nostri bravi allenatori. Non una classifica, non un confronto, non la promessa di un pettorale rosso. Le muove qualcosa che sta sempre un passo oltre la porta successiva: un’immagine di sé che ancora non esiste, ma che potrebbe nascere da una curva perfetta, da un errore trasformato in slancio, da un rischio che non avevano mai osato prendere.
Il desiderio è questo: una traiettoria che non smette di chiederti di diventare chi potresti essere.
E loro ci stanno andando incontro, tutte insieme, ognuna col proprio gesto, col proprio silenzio, col proprio modo di stare sulla neve.
Forse non serve capire fino in fondo se il desiderio possa compiersi. Forse basta vederle sciare: Steinmair che apre il varco, Pomarè che lo attraversa, Pazzaglia che lo illumina. Agnelli che non smette di bussare. Le altre dietro, ma non troppo: Belfrond, Bieler, Carolli, Mathiou, Valleriani. Tutte in corsa. Tutte in divenire.
E allora sì, Lacan avrebbe sorriso: perché non è l’arrivo che conta. È quella fame calma, ostinata, inesauribile che ti tiene dentro la linea quando la linea trema.
È il desiderio che non vuole essere saziato. Vuole essere vissuto. E loro, oggi, lo stanno vivendo con una bellezza che fa quasi rumore.






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