Sinner Re di Wimbledon, può ispirare i Giovani Azzurri? “Non conta dove arrivi, ma come ci arrivi. Io cerco solo di migliorarmi ogni giorno.”
— Jannik Sinner
Dall’erba di Wimbledon alla neve delle piste più tecniche del mondo. Può sembrare una distanza enorme, eppure qualcosa unisce quel campo inglese, teatro della vittoria più grande di un ragazzo altoatesino di 22 anni, con il cancelletto di partenza di un gigante sulla Gran Risa o di uno slalom sulla 3 Tre. È il filo invisibile del talento italiano, della disciplina silenziosa, del coraggio di restare se stessi anche quando tutti si aspettano che tu sia diverso. Jannik Sinner ha vinto Wimbledon. E adesso gli sciatori italiani possono davvero guardare al suo esempio per diventare protagonisti.
Il punto finale è un rovescio in corsa, incrociato, imprendibile. Sinner crolla sull’erba di Wimbledon e si copre il volto con le mani. È campione. Non solo per il titolo, ma per come ci è arrivato. Con una forza mentale sconvolgente, che fa sembrare semplice l’impossibile. Con una disciplina che non tradisce mai l’emozione. Con un’identità tecnica chiara, scolpita giorno dopo giorno.
È in quel momento che non solo il tennis italiano si alza in piedi, ma anche chi vive altri sport individuali, solitari, spietati. Come lo sci alpino.
Chiunque gareggi in Coppa del Mondo, in uno slalom che non perdona, in una discesa che fa paura, ha visto qualcosa di sé in quel ragazzo alto e composto, diventato numero uno al mondo vincendo il torneo più difficile da conquistare. Ed è naturale che oggi, atleti come Alex Vinatzer, Filippo Della Vite, Giovanni Franzoni — e molti altri — guardino a Sinner con una domanda che vale una carriera: cosa posso imparare da lui?
La mentalità del lavoro
Sinner non ha mai urlato. Non ha mai cercato scorciatoie. Ha costruito il suo tennis con la pazienza di un artigiano e la fame di un predestinato. Ogni singolo allenamento è stato affrontato con lo stesso rispetto che si riserva a una finale. Anche nello sci, l’allenamento è il cuore. Lo slalom non perdona la minima incertezza. Il gigante esige continuità. La velocità pretende fiducia assoluta in sé stessi e nei materiali. È qui che l’esempio di Sinner diventa modello: la sua costanza, la sua metodicità, la capacità di spezzare la frenesia e puntare sul lungo periodo.
Jannik ha lasciato tutto: casa, amici, montagne. Ha scelto di trasferirsi a Bordighera per essere allenato da Riccardo Piatti. Poi ha avuto il coraggio di cambiare ancora, scegliendo il team di Cahill e Vagnozzi. Decisioni difficili, personali, strategiche. Anche nello sci serve quel coraggio: cambiare sci, staff, metodo, quando serve. Mettere in discussione il passato per fare spazio a un futuro diverso. È una delle sfide più complesse per un atleta, soprattutto quando è giovane e sotto i riflettori.
Guardare Sinner annullare palle break o dominare tie-break infuocati è un esercizio di controllo emotivo. Nello sci, non c’è tempo per respirare. Una manche dura meno di due minuti e spesso tutto si decide in tre curve. La tenuta mentale, la gestione del respiro prima del cancelletto, il pensiero giusto nei tre secondi di ricognizione mentale prima di partire: anche qui Jannik insegna. Non si vince solo con la tecnica. Si vince tenendo calmo il cuore quando esplode l’adrenalina.
Alex Vinatzer, artista dello slalom, lo ha detto chiaramente: “Vedere Jannik fa venir voglia di spingersi oltre.
È uno che non si lamenta mai. Se perde, lavora. Se vince, lavora. È esattamente quello che dobbiamo fare anche noi.”
Filippo Della Vite, talento emergente del gigante, ha un approccio simile: mente analitica, voglia di crescere, fame di risultati. “Jannik è uno che non ha mai avuto bisogno di raccontarsi in modo artificiale. Lascia parlare il gioco. È una lezione per tutti, anche per noi che sciamo.”
E poi c’è Giovanni Franzoni, il più completo tra i giovani, capace di passare dalla velocità al gigante senza perdere efficacia. Il suo recupero dopo l’infortunio è una testimonianza della stessa disciplina silenziosa che ha fatto grande Sinner. “La testa è tutto”, ripete spesso. Jannik lo ha dimostrato.
Sinner può davvero ispirare i giovani azzurri?
Sì. Ma solo se lo vogliono davvero. Perché l’ispirazione è una scintilla, non un traguardo. Non basta guardare Sinner in TV o applaudire il suo trionfo. Serve tradurre quella scintilla in azione quotidiana. Serve scegliere la strada più dura, quella che non si vede nei riflettori, ma che costruisce i campioni.
Sinner non è un modello perché ha vinto. È un modello per come ha vinto. Per ciò che ha sopportato. Per quello che ha sacrificato. Per la determinazione silenziosa con cui ha costruito ogni passo.
I giovani azzurri dello sci hanno talento, mezzi, staff, visione. Ora serve anche il passo interiore. Quello che trasforma una promessa in un protagonista. Sinner ha dimostrato che è possibile. Non resta che crederci, davvero. E cominciare.
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