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La Formula che non c’è

Sciare 15 dicembre –  La tecnologia nel mondo dello sci avanza rapidamente verso la perfezione assoluta. Balle, chi lo racconta mente seppur inconsapevolmente, poiché non avrebbe un movente credibile. Fior di fuoriclasse dei materiali, della tecnica, della preparazione sanno perfettamente che quasi tutto si riduce a un tentativo. In mano stringono a pugno intuizioni, esperienze e qualche dato da elaborare; poca roba. Dubbi quasi non ce ne sono, lo sci è una scienza impura, anzi, non è neppure una scienza, ma un continuo fare e disfare. Ma proprio mentre il discorso si avvia verso la depressione assoluta ecco esplodere una gioia immensa: il mondo dello sci è pieno di geni. Analizziamo l’attrezzo. Gli ingegneri che affogano nelle strutture materiali d’ultima generazione non sanno mai a priori dove andranno a parare, ovvero, non hanno a disposizione strumenti tecnologicamente avanzati per sapere con un minimo di certezza se una spatola tagliata per tre quarti, una concentrazione di kevlar appena dopo l’attacco o una zona vuota in coda provocherà un effetto benefico. I test di laboratorio offrono riscontri teorici spesso confortanti, ma vengono pur sempre presi con le pinze, perché la pratica è circondata da imprevisti e variabili infiniti. Il rischio è enorme, poiché dietro a ogni prototipo esistono investimenti notevoli e chi osa troppo, rischia il posto. Eppure nella maggior parte dei casi l’idea funziona, per la felicità assoluta da parte del settore marketing delle aziende. I casi sono due, o si tratta di fortuna, per non essere scurrili, o di genialità. Mettiamoci d’accordo, i costruttori sono geni fortunati. Nel settore agonistico c’è poco spazio per le trovate. Bene o male, soprattutto nelle discipline veloci, le differenze tra un modello e l’altro sono minime. Ciò che fa la differenza è il budget dedicato ai test. L’azienda che impegna più risorse nello sviluppo non sbaglia mai e sale sul podio assieme ai suoi campioni. Diciamo che esiste un minor rischio di fallire, anche se la debacle rimane sempre in agguato. Può infatti capitare che un discesista utilizzi lo sci migliore tra quelli messi a disposizione e che in gara non commetta il minimo errore. Poi, classifica alla mano, si ritrova al tredicesimo posto, senza un motivo logico e scientifico. Vai a immaginare che per metà pista una nuvoletta avrebbe oscurato il sole rendendo innocua l’efficacia dell’impronta o della sciolina.  Ecco che quello sci così perfetto si trasforma in una carretta da due soldi. Di situazioni così ce ne sono tante. Può cambiare la temperatura e l’umidità della neve se il tempo è variabile o se da un giorno con l’altro mutano le condizioni, come è capitato alla discesa olimpica femminile. Ricordate la libera vinta da Urs Lehmann ai Mondiali di Morioka? Vinse l’atleta elvetico (oggi Presidente della Swisski), ma senza quei Salomon e con quella preparazione non avrebbe mai dato a Skaardal mezzo secondo conquistando l’oro (l’unica medaglia vinta dalla Svizzera a quell’edizione iridata). Le competizioni sono ricche di episodi simili e tutte sorrette dal binomio fortuna e genialità. La scelta della sciolina non dipende esclusivamente dallo skiman, ma da un lavoro d’equipe che coinvolge gli stessi atleti e gli allenatori. Bravi sono coloro che riescono a tenere rapporti di amicizia con i fornitori che non allungano i prodotti più innovativi ed efficaci a chiunque. Se abbandoniamo l’attrezzo e ci spostiamo verso la tecnica, il concetto si amplifica. Riconosciamo a sport come l’atletica o il nuoto una scientificità cristallina. Per guadagnare pochi centesimi si seguono programmi e tabelle inequivocabili. Nello sci si può pensare ad anticipare la linea di curva un po’ di più o di meno, o intraversare gli sci alla Simoncelli quando può convenire, ma è una scelta quasi istintiva che non può offrire riscontri matematici. Stile e talento a parte, l’allenamento si concentra sulla pratica e sulla correzione degli errori o dell’intepretazione. Peccato però, che ogni discesa, pur nello stesso tracciato, venga eseguita spesso in maniera differente. Uno dei pochi campi dove la tecnologia di alto livello può recitare un ruolo determinante e dove c’è ancora ampio margine di sperimentazione è la tuta da gara. In questo caso il laboratorio conta moltissimo. Posso avere sci lenti per colpa di una preparazione sbagliata, o commettere un errore tecnico, ma se indosso una tuta più efficace dell’altra, la musica cambia radicalmente in qualsiasi caso. Attenzione, tutto questo pensiero deve suonare come una grande dote. Se mai dovesse accadere un miracolo e lo sci potesse sfruttare una tecnologia dai risultati assolutamente perfetti, si cadrebbe nella tristezza. Lo skiman non potrebbe mai fare la differenza, tantomeno la scelta tecnica, la sciolina, l’anima dello sci, la durezza di una plastica dello scarpone, la posizione di un gancio, la nuvoletta che passa o altri accidenti. Consegnare l’esito di una gara totalmente al mago dell’alambicco toglierebbe pathos e poesia al nostro mondo e anche la passione scemerebbe. Scienziati, divertitevi con gli esperimenti, ma non riducete lo sci a una formula. Fortuna e genialità sparirebbero e con loro anche le emozioni più forti.

About the author

Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

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