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La paura di vincere

Nello sci, come in altri ambienti sportivi, si assiste sempre più spesso a un fenomeno che mostra la centralità dell’importanza della mente nell’ottenimento della prestazione ottimale: si tratta della «nikefobia». Nikefobia letteralmente significa «paura della vittoria». Se la paura di perdere è ben accettata socialmente e in tutti gli ambienti sportivi, al contrario la paura di vincere è rifiutata poiché assolutamente irrazionale: eppure esiste! Infatti, può sembrare un controsenso poiché  lo scopo dello sport, inutile negarlo, è soprattutto vincere, quindi come è possibile averne paura? Ci si allena per mesi con l’obiettivo di raggiungere la sognata vittoria e poi in gara c’è il terrore di dare il massimo e la paura di diventare il numero uno al mondo. È un disagio inconsapevole, per cui uno sciatore seppur dotato di grandi potenzialità non raggiunge mai livelli elevati di rendimento in gara, mettendo in pratica alcuni comportamenti che lo portano ad autosabotare  la sua prestazione. Si può indicare in una percentuale che va dal 20 al 30% il numero di atleti che, in maniera più o meno visibile, soffre di sindrome nikefobica. Esistono alcuni indicatori che evidenziano i comportamenti di un atleta che ha paura di vincere, ad esempio: la sistematica resa migliore in allenamento che in gara, mancare regolarmente gli appuntamenti sportivi più importanti, fallire in prossimità di un successo sicuro e/o essere l’eterno secondo. Quali meccanismi inconsapevoli si innescano nella mente di un atleta nikefobico? Per prima cosa spesso è un atleta che ha paura di portare a termine una gara quando sente o pensa di poter vincere, quindi è a un passo dalla vittoria. Nella mente di questa persona si sono strutturate delle credenze negative rispetto all’emanciparsi e all’aver successo. In lui esistono immagini mentali e idee (poco consapevoli) che lo inducono ad attuare comportamenti contro la propria prestazione, ad esempio fare errori tecnici molto banali o errori di traiettoria, avere vuoti mentali o disattenzioni improvvise, ecc. Sottesa alla paura della vittoria c’è spesso la convinzione che: il successo possa impedire altri progetti di vita; che vincere richieda delle abilità non percepite (seppur presenti) dall’atleta; o addirittura la percezione che diventare famosi e realizzare i propri sogni sia una «vendetta» che genera senso di colpa nella persona. Altre volte il successo viene inconsapevolmente evitato per il timore dello sciatore di essere «strappato» dalle proprie abitudini, dal proprio ambiente e da tutto ciò che era rassicurante, familiare e prevedibile. Capita che, dopo una grandiosa quanto inaspettata vittoria, nell’atleta si insinui la paura di non poter più ripetere quella prestazione eccellente, ingigantita della responsabilità e dalle aspettative rispetto ai compagni, all’allenatore, ai familiari e al pubblico. Di conseguenza a ciò, l’atleta si chiude in se stesso smettendo di mettersi alla prova e rinunciando a tutti i benefici della vittoria. Sono state date diverse interpretazioni alla «paura di vincere». Secondo la classica concezione freudiana, la causa è data da un vissuto familiare troppo protettivo, in cui viene impedito al bambino ogni espressione di se stesso (specie quella dell’aggressività) con la difficoltà di affermare il proprio carattere in età adulta. Se pensiamo che nello sport agonistico, la vittoria è la massima espressione dell’aggressività ben canalizzata, possiamo comprendere la difficoltà di metterla in atto da parte di alcuni atleti. Un’altra spiegazione può derivare dall’opinione che allenatori e staff tecnico hanno dell’atleta stesso. Se un atleta è considerato forte e talentuoso, ma lui non si percepisce tale, può scattare la paura di deludere le loro aspettative e innescando il meccanismo di rinvio dell’attesa vittoria e procrastinando all’infinito l’espressione del proprio valore. In tutti questi casi è importante che l’atleta si renda conto di avere un «blocco psicologico» ed abbia il coraggio di chiedersi quali siano le paure e i timori profondi del suo significato di vittoria. Ci sono atleti che non hanno mai sofferto di nikefobia, altri che la combatteranno per tutta la loro carriera ed altri ancora che riusciranno a sconfiggerla sbloccandosi definitivamente! Alcuni esempi di sblocco? I mondiali di Garmisch!

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Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

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