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La vera storia della nascita della Coppa del Mondo

Questa è la vera storia della nascita della Coppa del Mondo. Non è certamente a misura di web, ma certi racconti non si possono interrompere e banalizzare in poche righe. Il momento è altresì opportuno per dedicarsi alla lettura della nostra passione. E di ciò che forse non conosciamo.

Bob Beattie cominciò a parlare con quello furore che a Marc Hodler non era mai piaciuto. Diceva che Bob era un sergente nato, per il quale il resto del mondo non era altro che la truppa. Però era all’allenatore degli americani e il presidente della federazione internazionale non poteva sottovalutarlo, perché anche grazie al suo carattere impetuoso era diventato il numero uno di un paese che, sulla neve, non contava meno dell’Europa o del Giappone.

L’avvocato Hodler, raffinato diplomatico, decise di diventare un miracolo di pazienza per queste buone ragioni. 1. Bob non era del tutto antipatico. Quando taceva era anzi sopportabilissimo. 2) Bob era un tecnico d’alto livello, secondo Hodler non avrebbe sfigurato né in Austria, Svizzera o in Francia. 3) Bob era  il parroco dello sci amatoriale in un paese dove l’avanzata del professionismo era considerata dalla Fis una patatona troppo calda e preoccupante.

Marc Hodler e Serge Lang

L’internazional professional ski Racers Association aveva persino cercato nel 1963 di fondare un professionismo femminile. Il tentativo non era riuscito, Ma l’Ispra aveva già ingaggiato la norvegese Inge Bjorbakken e l’austriaca Putzi Frandl, medaglia d’oro e medaglia d’argento nello slalom ai Mondiali di Badgastein del 1958.

L’appuntamento fra Bob Beattie e Marc Hodler era stato fissato da qualche settimana a Kitzbühel in una saletta dello Sporting Hotel per l’ora di cena.

Bob era forte, giovane, biondo, un tipo da Hollywood. Benché sapesse parlare anche a bassa voce, Hodler stava osservando che anche in quel momento non faceva nulla per dimostrare questa eccellente dote. Poiché erano soli in una saletta con la porta chiusa, riteneva l’atteggiamento del guerriero americano assolutamente teatrale.

Il giornalista francese Serge Lang ricorderà qualche mese dopo a Maria Grazia Marchelli, prima azzurra e poi giornalista a sua volta, che la data di questo incontro, 22 gennaio 1966, deve essere considerata fondamentale nella storia della Coppa del Mondo, perché Bob Beattie  aveva versato nello shaker l’idea ancora un po’ vaga di un circuito europeo.

L’aveva fatto ruotare nell’aria per tutta la serata e alla fine aveva concluso: “Ascolta Marc, io non ho capito del tutto il vostro progetto ma sono sicuro che lo sci a bisogno di un circuito mondiale. E siccome un giorno all’altro mi ringrazierai di averti dato questo suggerimento puoi cominciare a pagare il conto”.

Bob Beattie e Bill Kidd

L’avvocato rimase colpito. Diavolo, un circuito mondiale. Beh, perché no?

Bob tu mi Proponi qualcosa di molto americano e impressionante – gli rispose Marc – Devo riferire agli altri, però quello che hai detto non mi dispiace”.

In realtà tanto Bob che Marc avrebbero dovuto discutere di un’altra cosa. Bob gliel’aveva anticipato, voleva che la FIS trasformasse la cadenza dei campionati del mondo da quadriennale ad annuale. Ma questo argomento non è stato neppure sfiorato, benché poi le cose siano andate proprio così.

Bob aveva cambiato il suo programma qualche giorno prima. Infatti il 4 gennaio la futura Coppa del Mondo era stata lanciata sotto il nome di “Challenge de l’Equipe”.  Con un calendario soltanto europeo ma dopo lo slalom di Hindelang e lo slalom gigante di Adelboden in testa alla classifica c’era Bill Kidd, un americano. Alla fine i migliori saranno Marielle Goitschel e Karl Schranz. E un anno dopo, il 5 gennaio 1967, nascerà la Coppa del Mondo con uno slalom organizzato dai tedeschi a Berchtesgaden, Vinto dall’austriaco Heini Messner.

Arnold Lunn

Ma facciamo un passo indietro. Quel giorno, il 22 gennaio del 1966, lo Challenge dell’Equipe già definito come la coppa Europa dello sci, Ringraziando Bill Kidd e il suo coach è diventata la World Cup.

E prima di quel giorno?
Il seme è stato messo nella terra o, piuttosto, nella neve a Parigi nel febbraio del 1963 presso la redazione dell’Equipe, La Gazzetta dello Sport dei francesi.

Il suo direttore, Jacques Goddet, aveva proposto un ragionamento. “Le gare di sci sono cominciate da due mesi, ci sono stati differenti vincitori,  tutti molto bravi. Come si potrebbe stabilire chi sia, effettivamente, il migliore?”.

Aveva ideato una classifica basata sul meccanismo di un punteggio attribuibile ai vari piazzamenti e in questo modo il titolare del punteggio più alto doveva essere considerato il leader.

René Maupas, un redattore, alla fine della riunione parla al telefono con Serg Lang, l’inviato dell’Équipe alle gare di sci che aveva lasciato Madonna di Campiglio diretto a Barèges, sui Pirenei.

L’impressione è alquanto pallida. Anzi questa idea della classifica che alla fine premiava i più regolaristi che i campioni, non gli piace proprio. Maupas riferisce il parere di Lang a Goddet e, a quanto pare, l’argomento sfuma.

L’atmosfera dello sci alpino in quegli anni era dominato dal fascino del Kandahar, Il tradizionale circuito europeo ideato dall’inglese Arnold Lunn e dall’austriaco Hannes Schneider nel 1928. Era basato sulla combinata discesa-slalom. Suscitava altresì curiosità una pista di 400 m al coperto realizzata a 45 minuti di treno da Tokyo dalla Seibu Enterprise.

Yoshiaki Tsutsumi,  il direttore, aveva inviato in Giappone il segretario generale della Fis, Sigge Bergman,  per un sopralluogo. Impressionante. Migliaia di giapponesi assediavano ogni giorno la pista e dall’altra parte di Tokyo ne stava sorgendo un’altra ancora più grande che aveva persino un trampolino per il salto, “The Yomiuri Land Ski center”.

Maurice Martel e Fabio Conci

Il resoconto di Bergman alla Fis  aveva suscitato un certo interesse. Alla fine tutti si erano domandati se non fosse quello il futuro dello sci. Sì, il futuro dello sci in città, ma quello dello sci montagna?

Jacques Goddet  aveva scritto qualcosa circa il suo progetto sull’Equipe. Qualcosa che il mondo dello sci aveva registrato e trasformato in un orizzonte. Per gli Hommes de Ski l’avvenire era laggiù, dove il cielo lambiva la cresta delle montagne.

Sorgevano proposte progetti in Francia, Austria, Svizzera. L’idea più forte sembrava quella di Honoré Bonnet,  il commissario tecnico dei francesi. Prendeva spunto dal triangolare inserito nel concorso del Lauberhorn tra le formazioni di Wengen, di Chamonix e dello Ski Club Parigi.

In pratica era una coppa a squadre e, per la verità, si parlava già di Coppa del Mondo verso la fine del 1963. Con un meccanismo che prendeva un ventaglio di selezioni fin quando la migliore squadra europea avrebbe incontrato in una finalissima a tre punte la migliore squadra giapponese e la migliore squadra americana.

Si diceva che ogni squadra dovesse essere composta da 12 uomini e da sei donne. Marc Hodler appoggiava senza riserve questo progetto.  Non ignorava la difficoltà di attuazione nel calendario internazionale che ruotava attorno alle Olimpiadi, ai campionati del mondo ed al Kandahar. In ogni modo si diceva che il decollo dovesse avvenire del 1966 l’anno dei mondiali a Portillo.

Tanto che il general manager cileno, Sergio Navarrete,  si affrettò a inviare a Hodler una forte protesta. Il decoro della Coppa del Mondo nel 1966 avrebbe decapitato i suoi mondiali e questo non doveva succedere. La risposta europea innescò una rissa. Era suggerita tanto dalla Fis che da Bonnet, ma era stata sviluppata da un portavoce non meglio riconoscibile sull’esempio del calcio.

Chiharyu Ygaya e Sergio Navarrete

Nel calcio si disputano le Olimpiadi, la coppa dei campioni e la coppa delle nazioni europee senza che i campionati del mondo ne soffrano. Dunque non vediamo come la coppa del mondo possa rimpicciolire i campionati cileni“.

Navarrete divenne isterico. “Perché la squadra delle Olimpiadi non è mai la squadra dei mondiali, alla coppa dei campioni partecipano le squadre di club, che hanno vinto i campionati nazionali. In terzo luogo di incontri per la coppa delle nazioni sono due o tre all’anno. Mi prendete in giro?

“In effetti -disse poi Hodler – l’anno del calcio dura 365 giorni mentre quello della neve finisci in pochi mesi. Ma il problema non consiste in un confronto tra il calcio è lo sci, dimentichiamo questa discussione, pensiamo al nostro futuro”.

Ma chi doveva guardare tanto avanti: Marc Hodler, Honoré Bonnet, Jacques Goddet?  Il direttore dell’equipe non aveva abbandonato la sua idea ma aveva capito benissimo che suo peggior critico sarebbe stato proprio Serg Lang, l’inviato del giornale che dirigeva.

Ritenuto il miglior giornalista il mondo per quanto riguardava lo sci. Ebbe una bella intuizione. Stava partendo da Roubaix una tappa del tour de France del 1965. Serge Lang si era occupato di ciclismo fin da ragazzo ed era naturalmente lì, stava pagando il conto dell’albergo quando suona il telefono. “Ti ricordi – gli fa Goddet dall’altra parte del filo – di quella mia idea per lo sci? Te la regalo, puoi cambiarla, ma quando tour arriva a Parigi portami un progetto”.

Durante tutto il resto del tour l’inviato dell’Equipe mise assieme uno schema assai semplice. Ogni classica dello sci, paragonabile ad ogni tappa del Tour, sarebbe servita per sviluppare una classifica generale. La maglia gialla dello sci anziché misurarsi con il cronometro avrebbe fatto i conti con un meccanismo di punteggi.

Honoré Bonnet e Bibbo Nordenskiold

Il progetto venne accolto molto bene dei dirigenti francesi più importanti: il presidente della federazione Maurice Martel e Robert Faure,  presidente del comitato discesa slalom della FIS. Mandò invece su tutte le furie Honoré Bonnet e Serge Lang più tardi lo ringrazio dicendo: “Honoré ci ha evitato rischio di finire in una grande trappola”.

Bonnet era contrario al principio che tutte le prove dovessero contare per lo Challenge. Diceva con energia: “Se uno entra in classifica ma è stanco, come faccio a dirgli di andare a casa riposare? E come faccio ad impegnare qualche prima firma in gare minori per dare una possibilità anche i giovani?. Assolutamente no, questo progetto va modificato. D’altra parte è solo un progetto no?“.

Il regolamento definitivo diceva che si sarebbe tenuto conto solo dei tre migliori risultati ottenuti da ogni atleta in ciascuna delle tre specialità alpine. Poiché la vittoria dava 25 punti il tetto di ogni specialità era a quota 75. E il migliore di tutti avrebbe messo assieme 75 punti in discesa più 75 slalom gigante, più 75 in slalom speciale. Insomma, 225 punti.

È in questo momento che Bob Beattie e Marc Hodler  si incontrarono a Kitzbühel. E che lo Challenge dell’Equipe diventa davvero la Coppa del Mondo. Nello stesso istante scende il sipario sul glorioso Kandahar e un’acqua minerale noto soprattutto in Francia, la Evian, diviene lo sponsor della coppa, entra su tutti i mercati e in brevissimo tempo moltiplica il fatturato del 10.

Killy nella prima Coppa del mondo del 1967 che vincerà assieme a Nancy Green (Assieme nella foto di copertina)

È deciso che la Coppa del Mondo sarà presentata a Portillo dai fondatori. Attorno a Serge Lang è stato concepito un gruppo di lavoro che comprende Marc Hodler (presidente FIS), Maurice Martel (Presidente della federazione francese), Fabio Conci (presidente della federazione italiana). Bud Little (Vicepresidente della federazione americana), Robert Faure e Karl Molitor  in rappresentanza del comitato discesa e slalom della FIS.

I commissari tecnici Bonnet (Francia), Beattie (Usa), Sepp Sulzberger (Austria) e infine il giapponese Chiharyu Ygaya,  membro del sottocomitato piste alpine, medaglia d’argento nella discesa alle Olimpiadi di Cortina del 1956.

In un certo senso Serge Lang rappresenta anche Jacque Goddet e l’Equipe. Un giorno dirà: “Le persone che mi hanno aiutato sono tre: Bonnet, Beattie e ulzberger.  Non lo sa nessuno ma noi quattro tutti gli anni ci ritroviamo ricordare le nostre cose e ci facciamo una birra”.

Il 5 gennaio del 1967 non era più una data lontana, tuttavia la Coppa del Mondo non era ancora partita ed era già circondata dalle critiche. Erano tutte più o meno intelligenti e più o meno inutili. Quella che ha fatto più impressione arrivava da Bibbo Nordenskiold, uno svedese di Aare, proprietario dell’hotel Granen, membro del comitato discesa-slalom della FIS. Nonché Direttore generale dei mondiali del 1954. Molto stimato dal Circo Bianco per le sue osservazioni equilibrate. Anche se la sua fermezza nel difendere i valori del dilettantismo lo teneva lontano dalla corrente modernista della FIS, guidata in prima persona del suo presidente.

L’evoluzione dell’amatorismo verso qualcosa che assomigliasse ad uno stipendio non era un buon argomento a quell’epoca. C’erano i fautori del dilettantismo ed i paladini del professionismo. La FIS in particolare non voleva che l’Ispra prendesse piede ed Hodler sapeva che nello sci girava da qualche tempo un bel po’ di denaro sottobanco.  Era necessario un compromesso ma il Cio non aveva le visioni della FIS e, com’era evidente dai fatti, la Fis non era compatta.

Le idee di Bibbo Nordenskiold assomigliavano al vecchio progetto-Bonnet. Sostenuto dagli svizzeri e in particolare dal mitico Ernst Gertsch, l’ex marconista che nel 1930 aveva fondato il concorso del Lauberhorn.

Il tecnico svedese vedeva uno sci a squadre più che individuale e un numero elevato di competizioni tipo le Alpi contro la Scandinavia. Inoltre faceva riflessioni attorno a una specie di coppa Davis della neve.

Non erano idee folli, erano delle alternative alla coppa. E poi non si trattava di nomi ma di formule e di meccanismi, quindi anche quella di Bibbo Nordenskiold avrebbe potuto chiamarsi Coppa del Mondo.

Se le sue proposte non sono andate avanti e non hanno trovato alleanze è solo perché tutti conoscevano la sua poca simpatia per la discesa. È vero, era totalmente assorbito dallo slalom ed era perennemente alla ricerca di soluzioni che assicurassero imparzialità ai concorrenti a proposito dei numeri di partenza.

E la sua filosofia non piaceva agli allenatori delle prime squadre, se si è arrivati a rovesciare nella seconda manche dei primi 30 della prima regola lo si deve proprio lui. È stata una conseguenza del cosiddetto “metodo Bibbo” applicato agli ordini di partenza, adottato dalla FIS appena è partita la coppa di Serge Lang.

 

 

About the author

Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).