Lindsey Vonn è una delle atlete più leggendarie dello sport? Per gli appassionati del grande sci non ci sono dubbi, ma noi vi portiamo a una riflessione per comprendere perché lo è.
Esistono nello sport figure che superano la contingenza delle statistiche, che rompono la diga della cronaca per diventare epica. Lindsey Vonn è una di queste. Non è soltanto una sciatrice. È una delle massime espressioni dello spirito sportivo universale: quell’insieme raro di talento, sacrificio, dignità, vulnerabilità e resilienza che fa vibrare qualcosa di profondo anche in chi, di sci, non sa nulla.
Vincere è da campioni. Ma tornare sei anni dopo il ritiro, a 40 anni, e salire di nuovo sul podio in Coppa del Mondo – in un mondo dove il tempo corre e dimentica – è qualcosa che va oltre la gloria. È arte. È mito.
Ma perché tornare? Cosa può spingere un’atleta che ha già vinto tutto a rimettersi in gioco? Lindsey Vonn è tornata non per nostalgia, né per strategia. È tornata perché sentiva che c’era ancora una discesa da compiere. In un’epoca dove lo storytelling atletico è spesso confezionato, la sua narrazione è rimasta cruda, autentica, personale. Un gesto che ha la forza di un atto etico, più che sportivo.
Il 23 marzo a Sun Valley è salita di nuovo sul podio, in un SuperG vinto da Lara Gut-Behrami e piazzandosi davanti a Federica Brignone. La sensazione è che non abbia ancora finito. Ma com’è possibile, dopo tutto ciò che ha passato?
Possibile che non abbia paura? Oppure, più onestamente: ce l’ha, la paura? E se sì, come ci convive? Cosa succede dentro la mente di un’atleta quando si lancia a 110 km/h in una curva cieca con un ginocchio che non è più del tutto suo, ma un assemblaggio biomeccanico di titanio e volontà?
Ci sono almeno tre possibili risposte. La prima è che la paura ci sia, sempre, ma che Lindsey abbia imparato a non lasciarle il comando. Che le tenga un posto sul sedile accanto, riconoscendola come compagna di viaggio, ma senza permetterle mai di toccare il volante. Non si diventa Lindsey Vonn ignorando il rischio: lo si domina, lo si misura, lo si rispetta.
La seconda è che, dopo tutto quello che ha attraversato, la paura sia stata sostituita da qualcosa di più profondo: una calma implacabile, figlia dell’abitudine al dolore e alla disciplina. Come se, paradossalmente, la sofferenza cronica l’avesse resettata: un corpo che ha già perso tutto non ha più niente da temere. E da quel fondo, Lindsey è risalita con occhi nuovi.
La terza ipotesi – la più affascinante – è che la paura non se ne sia mai andata, ma che sia proprio lei il motore. Che ogni curva, ogni partenza, ogni salto sia una dichiarazione di coraggio contro ciò che dentro ti dice: fermati. Forse Lindsey è ancora lì non perché non ha paura, ma perché vuole dimostrare – anche a sé stessa – che la si può attraversare.
Cosa serve, allora, per affrontare quella curva cieca con un ginocchio in titanio e mille cadute alle spalle? Serve una mente rara, affilata, elastica. Una mente che sappia trasformare il dubbio in decisione, la memoria del dolore in lucidità, e la paura – sì, la paura – in un’alleata silenziosa. Una mente che non ha bisogno di dire niente. Perché ogni gesto, ogni piega, ogni traguardo tagliato, parla per lei.
Lindsey Vonn oggi gareggia con una protesi al ginocchio in titanio, impiantata chirurgicamente dopo una lunga storia di infortuni. Si tratta di una delle prime atlete al mondo, e certamente la prima del Circo Bianco, a competere con un impianto così sofisticato. È un’ulteriore soglia superata. Non si limita a convivere con il dolore: lo ha oltrepassato e trasformato in forza.
La grandezza di Vonn non è fatta solo di ori e coppe. È fatta di cadute e risalite, di coraggio, e di una straordinaria umiltà. Mai si è sottratta al confronto con il fallimento, mai ha preteso di apparire invulnerabile. E anche nel pieno della celebrità non ha mai smesso di mostrarsi persona prima che personaggio.
Molti la seguono sui social. Lindsey è molto attiva online. Si mostra mentre si allena, mentre suda, mentre sente dolore. Qualcuno potrebbe pensare a un eccesso di esibizionismo o a un dovere verso gli sponsor. Ma allora perché non si limita a mostrare le medaglie, ma insiste sul dolore e sulla fatica? Perché esporsi così tanto?
Perché Vonn non si mostra. Si offre. Condivide la fatica per restituire coraggio. Mostra il dolore per spiegare che non è una sconfitta. Celebra ogni progresso per ricordare che la tenacia è contagiosa. E nel farlo, trasforma il suo profilo Instagram in una palestra pubblica della resilienza.
Il suo obiettivo dichiarato è gareggiare a Milano-Cortina 2026 e vincere una medaglia. E ci sta provando con determinazione feroce, giorno dopo giorno, dimostrando che il tempo può invecchiare il corpo, ma non può spegnere il fuoco dentro un atleta.
E nel frattempo costruisce il futuro degli altri. Con la Lindsey Vonn Foundation e la Vonn Academy, accompagna giovani atleti nel loro percorso sportivo e umano. Non parla di ispirazione: la pratica. Lindsey non si è ritirata nella leggenda. È rimasta nel presente. Ha scelto di non chiudere la porta dietro di sé, ma di lasciarla socchiusa per chi vuole seguirla.
E allora, ecco una risposta credibile alla domanda iniziale: Lindsey Vonn è una delle atlete piò leggendarie dello sport?
Sì, Lindsey Vonn è una delle atlete più leggendarie dello sport. Ma non per la somma dei suoi record. Lindsey è un’icona vivente della tenacia e dell’umiltà. Perché ha vinto più contro sé stessa che contro il cronometro. Perché non ha mai smesso di credere nel valore educativo dell’esempio. E soprattutto, perché non si è fermata quando poteva farlo, ma ha continuato quando nessuno glielo chiedeva più.
Add Comment