Notizie

Pietro Zazzi il ragazzo discesista che si è fatto da solo!

Pietro Zazzi il ragazzo discesista che si è fatto da solo!
La storia di Pietro Zazzi, 27 anni, Sci Club Reit Ski Team Bormio, velocista della squadra Nazionale A, appartiene alla categoria delle rarità. Nel senso che sfugge totalmente dal percorso che siamo soliti raccontare quando descriviamo l’escalation di un atleta. Non di un atleta qualunque, ma quella di chi affronta la Streif per la prima volta nella vita fin dalla cima e conclude al 26esimo posto con un erroraccio che gli toglie almeno una decina di posizioni. Ecco, il percorso seguito per superare quel traguardo e ottenere quel tempo, è del tutto insolito.

Pietro non era quel bambino che sognava un giorno di diventare un campione e di competere in Coppa del Mondo. E magari di vincere anche una gara, fino a indossare il pettorale rosso. Quel desiderio che può continuare a essere vivo perché legittimato dai risultati ottenuto fin da pulcino, confermati nella categoria Children, e dai podi ottenuti da Aspirante, tanto da entrare in Comitato per poi essere adocchiato dalla Nazionale Junior, con il contatto di un gruppo sportivo militare che ti invita a tesserarti e offrirti la possibilità di crescere per ottenere i risultati utili all’arruolamento tramite concorso. E da lì, vittorie nelle Fis, risultati di vertice in Coppa Europa, fin quando arriva la chiamata del direttore Agonistico che ti convoca per la Coppa.

Pietro assieme a mamma Paola

Eh no, non è mai successo niente di tutto questo, se non l’ultimissimo atto, arrivato attraverso un percorso che ha pochi precedenti nella storia del nostro sci. Perché gli appassionati, quel 29 dicembre 2020 si sono ritrovati Pietro al cancelletto di partenza del superG di Coppa sulla Stelvio di Bormio senza sapere nulla di lui. Non proprio nessuno in realtà, sicuramente mamma Paola, papà Fabrizio, maestro di sci, il fratello Marco, la sorella Chiara (nella foto qui sotto), anche loro maestri, la sua donna del cuore Marica, e sicuramente Andrea e Daniele Martinelli, i tecnici che lo hanno tirato su fin da piccolo.

Pietro non ha mai vinto un titolo, non ha mai concluso una gara per cui gli osservatori potessero dire: “Però, quel ragazzo se viaggia…”.

Pietro Zazzi è di Bormio, ma se chiedi di Pietro in giro nessuno sa chi sia. Se invece domandi: “hai visto Pepe” allora ti sanno dire. “Tutti allo sci club Bormio, dove lui è nato, avevano un nomignolo – racconta Umberto Capitani: “Ma Pepe da ragazzino era il meno forte di quel gruppo del ’94, più o meno come mio figlio Andrea. Nicolò Compagnoni invece vinceva tutto, poi le parti si sono invertite. Andrea a 18 ha mollato dopo le prime gare in Coppa Europa andate male. Pepe, invece ha avuto la costanza e la coerenza di proseguire il suo percorso”.

La prima versione di Pepe Zazzi, quella in gigante e in slalom!

Zazzi è una delle famiglie storiche della capitale valtellinese. Il nonno, il Dottor Zazzi è uno dei padri fondatori della Sifas ed è stato uno dei direttori più longevi dell’attività estiva allo Stelvio, fino agli Anni 80. In famiglia solo lo zio Stefano ha raggiunto un discreto livello agonistico che però si è fermato in Coppa Europa. Poi il Dottor Zazzi lo convinse a seguire gli studi di ingegneria e oggi ha un qualificato studio professionale proprio a Bormio. Ma gli Zazzi che promettevano di più sembravano proprio i figli di Stefano, cugini di Pietro, Luca e Giulia. Giulia aveva un talento incredibile, in alcune gare giovanili le dava addirittura a una certa Sofia Goggia. Poi però anche per loro ha prevalso la volontà di dedicarsi agli studi.

Allora è il momento di passare la parola a Pietro, pardon, a Pepe, che dopo Kitz ha raggiunto i giovani per alcune gare veloci in Coppa Europa.

Pietro, non è andata benissimo a Saalbach…
Quella maledetta seconda porta. Ho sbagliato là perdendo 7 decimi, lo stesso ritardo che ho portato poi al traguardo. Davvero un peccato. Il giorno dopo Read ha fatto la differenza, ma tutti, dal 20 in poi, abbiamo fatto fatica, non so bene perché: ma non lamentiamoci, a Kitz è andata bene..

Infatti, dopo quella bella gara ora la gente si aspetta sempre di più
Lo so, ma ogni gara di alto livello fa storia a sé. Poi se mi dai una pista bella ghiacciata e difficile è un conto, lì viaggio, ma sul molle e sul facile non sono un fulmine di guerra. È una delle situazioni dove devo ancora migliorare parecchio, perché bisogna sapersi adeguare a ogni condizione.

Ok fermiamoci qui e azioniamo la macchina del tempo…
Sai come funziona, vuoi sempre imitare i fratelli più grandi, così ho iniziato a sciare seguendo l’onda di Marco ’89 e Chiara ’90. Poi loro hanno lasciato per studiare Economia a Milano e sono diventati maestri di sci, come mio papà. Che già allora lavorava in una società di consulenza a Milano. Città dove si era trasferita anche mia mamma, nata e cresciuta a Bologna. I miei però decisero di crescerci a Bormio e quando nei week end papà tornava a casa, andavamo tutti assieme a sciare, così per divertimento.

Quindi non ti ha mai allenato tuo papà?
Lavorando a Milano era impossibile. Ho iniziato con lo Sci Club Bormio, poi attorno al 2002 sono passato al Reit Ski Team dei fratelli Andrea e Daniele Martinelli.

Ai Campionati Italiani Assoluti di Santa Caterina: quinto posto in discesa

Visto com’era andata con Marco e Chiara immagino non pensassi a una carriera da sciatore.
La cosa ha preso corpo col tempo. Anche perché a me piaceva tantissimo anche giocare a calcio. Ero bravino, mi avevano chiamato persino nel Sondrio.

Attaccante?
Inizialmente difensore, poi visto che la mia statura non era un granché, ma correvo veloce mi misero sulla fascia

Poi hai dovuto scegliere o il calcio o lo sci…
Esattamente a 14 anni, ma non ci ho messo tanto a capire che era meglio dedicarsi allo sci. Mi è bastato guardarmi attorno…

Però non sei nato con l’indole del discesista…
Macché, lo sono diventato abbastanza tardi. I primi anni con Andrea e Daniele li abbiamo passati a curare tantissimo la tecnica. Era l’unico modo per stare davanti ai miei coetanei che non erano piccolini e magrolini come me. Tuttavia, non è che riuscissi a fare grandi cose. Mai partecipato a una fase finale degli Italiani Children. Penso di essere l’unico in Squadra A, a non aver mai vinto una medaglia nelle categorie giovanili, né tra gli Aspiranti, tantomeno nei Giovani. A livello nazionale ho solo un quinto posto ottenuto l’anno scorso agli Assoluti.

Una situazione che avrebbe demoralizzato chiunque
Non sono un testone ma ci ho sempre creduto, andando avanti a piccolissimi passi, ma sempre in crescita. Lo stesso Comitato non è che ci credesse più di tanto. Mi aveva chiamato, ma entrai solo nella seconda squadra, come aggregato, quindi in seconda linea. Comunque, facevo soltanto gigante e slalom. 

Ci sarà pur stata però una svolta.
C’è stata eccome, capitata per merito di Alexander Prosch, responsabile in quegli anni, della Coppa Europa. Nel 2016 io ero già fuori dalla categoria Giovani, quindi primo anno Senior. Ci fu una gara del Gran Prix Italia Giovani a Pila nello stesso giorno di una discesa libera di Coppa Europa a Davos. Non potendo più competere nel GPI, Alex contattò Stiletto, allora allenatore del Comitato per mandarmi in Svizzera. Proprio perché si erano liberati dei posti lasciati vuoti dai più giovani chiamati a competere nella gara in Valle d’Aosta. Ebbene, indossavo il pettorale 69 e mi classificai 29esimo alla mia prima discesa in assoluto di un certo livello! Ricordo che vinse Ralph Weber con Emanuele Buzzi terzo, dietro all’austriaco Schweiger. E nei dieci i vari Hintermann, Walder, Sejersted, Kroell.

E lì hai capito che potevi essere un velocista
Più che altro ho intuito di avere più spazio. La velocità, d’altra parte, non mi aveva mai fatto paura, anche se di occasioni ne avevo avute davvero poche. Ne ricordo una a Caspoggio e qualcuna qui tra Bormio e Santa Caterina in occasione dei Campionati inglesi, niente di più.

Dopo Davos, ancora Coppa Europa?
Esatto, in Val Sarentino. Non presi punti ma riuscii a stare davanti a gente ben più blasonata di me. Come Siegmar Klotz ma soprattutto Henry Battilani, stessa età, ma fino ad allora mi dava sempre una barcata di secondi. Questo fu sufficiente perché Prosh mi inserisse tra gli atleti di interesse nazionale.

E da lì ha preso il volo?
Macché, proprio nella stagione nella quale dovevo dimostrare di avere i numeri per entrare in squadra, feci davvero tanta fatica. Dalla Coppa Europa non arrivò alcun risultato soddisfacente. L’interesse nazionale scemò per altre due stagioni, fin quando nell’anno 2019/20 iniziai a ottenere qualche Top 20 nel circuito continentale.

Cosa ti teneva legato alle gare con i risultati che non arrivavano?
Non guardavo tanto la posizione in classifica, quanto se stavo crescendo come atleta, a livello di tecnica e di sicurezza. Riscontrando piccoli miglioramenti non vedevo perché mandare tutto alla malora. Prima o poi un buon risultato sarebbe saltato fuori. Al contrario di alcuni miei compagni di comitato, bravi a “spaccare” all’inizio, ma che poi regredivano, fino ad alzare le braccia. La mia motivazione è sempre stata questa.

E in questo percorso, il Comitato?
Ero aggregato, per cui solo qualche raduno estivo e in giro per le gare, altrimenti mi sono sempre allenato con lo sci club, che nella mia crescita rimane il mio unico punto di riferimento.

In tutto questo la tua famiglia ti ha sempre appoggiato?
Loro ci hanno creduto anche più di me! Mi hanno sempre supportato e non finirò mai di ringraziarli. Mai una volta che mi abbiano fatto pesare le cose, anzi, proprio dai Miei sono arrivate le più forti motivazioni, anche quando le cose non andavano per il meglio. Senza quella carica e il loro aiuto avrei probabilmente smesso.

Mamma Paola come ha reagito quando le hai detto che ti saresti dato alla velocità?
Ancora oggi mi dice: “Mannaggia a te e al giorno in cui hai deciso di non scegliere lo slalom! Farmi stare più tranquilla no, eh?”. Nelle ultime due stagioni, man mano che si avvicinava il Natale, era sempre più, come dire, pensierosa: c’era la Stelvio!

Ma cos’hai combinato quest’anno su quella pista?
La conosco come le mie tasche, sono nato lì, poi certo, prendere pare alla gara di Coppa è tutta un’altra cosa, anche se prima di prenderne parte ho fatto per tre anni l’apripista. La prima volta vera, l’anno scorso dopo aver vinto la qualifica interna (18esimo). Un po’ l’emozione, un po’ la voglia di strafare e se vuoi anche l‘esordio in Coppa del Mondo… Insomma, arrivo al primo salto e mi schianto! Quest’anno mi ero ripromesso di rifarmi e le cose stavano andando per il verso giusto col l’ottavo tempo nella seconda prova. Mi son detto detto, Pepe in gara ci sei, quindi ora calma e concentrati!

Sulla Stelvio nel 2020

Ho fatto tutto molto bene ma al Ciuk ne ho combinate una delle mie. Nella zona della compressione entro in un taglio che si era formato sulla neve e mi prende secco lo sci. Non ho avuto il tempo di riprendere la linea e sono passato in mezzo al palo! Ma non ne ero così sicuro, perché anche se il telo mi penzolava sul braccio, non era successo niente di particolare. Normalmente quando inforchi in discesa sai che fine fai? 29esimo al traguardo ma poi giustamente mi hanno squalificato.

Poi Wengen e Kitzbühel, immagino quante emozioni sulla Streif!
C’ero già stato due anni fa in Coppa Europa, ma si partiva appena sopra la Mausefalle, come la prima gara di quest’anno, con l’arrivo posizionato prima della Hausbergkante. Avevo fatto fatica, quindi niente di buono. Mi avevano portato anche l’anno scorso, ma il volo di Bormio mi aveva un po’ segnato e la sfida in qualifica la vinse Schieder.

Però mi è servita farla una volta da cima in fondo e quest’anno ci sono arrivato un po’ più in forma. E poi la pista era dura come piace a me. Sul barrato ho sempre un feeling migliore. Ho assunto un atteggiamento di attacco fin dalle prove, anche perché su piste così difficili non hai tante alternative. Però non mi aspettavo di concludere il training col 14esimo tempo. Bene anche nella seconda col 23esimo tempo partendo però più in basso, senza il primo tratto tecnico.

Sulla Streif nel 2020 in prova

A quel punto la fiducia era massima. Ma nella prima gara la tensione mi tagliava in due le gambe. Si partiva tardi, c’era vento, poi però appena fuori dal cancelletto, ho trovato subito ottime sensazioni. 28esimo al traguardo, i miei primi punti in coppa! Ho rivisto la mia gara e fino all’ultima traversa ero 21esimo, ma ero uscito lì in prova e istintivamente, ho tirato una frenatina di troppo. Nella seconda discesa si partiva dalla cima e sapevo che mi sarei difeso bene nel tratto tecnico iniziale. E così è stato, mi è venuto proprio tutto bene. Peccato prima dell’Hausbergkante.

Sono un po’ scivolato, forse anche per un accumulo di fatica. Mi ha toccato lo scarpone e lì, un po’ con destrezza, un po’ con una buona dose di fortuna, son rimasto in piedi. Il lato positivo è che in genere, dopo un errore grave spengo un po’ la testa. Questa volta non ho perso concentrazione e proseguito fino al traguardo con una buona linea sulla diagonale. Quando ho visto 26esimo non potevo crederci, impossibile.

Hai ricevuto qualche consiglio dagli altri ragazzi della squadra?
L’ambiente è stupendo. Se c’è la possibilità di darmi una mano, anche campioni come Inner e Domme non si tirano mai indietro. Specie in ricognizione. Domme è sempre uno dei primi a scendere e non lo vedo quasi mai, ma Innerhofer e Marsaglia che la fanno solitamente con più calma, riesco a raggiungerli e mi faccio dire. A Kitz è capitato. Anche loro hanno imparato a conoscermi un po’ di più, per cui sanno cosa consigliarmi. E questo è tanta roba!

Hai legato con qualcuno in particolare in squadra?
Spesso in camera sono con Molteni, ma forse sono entrato un po’ più in confidenza col mio coetaneo Emanuele Buzzi. Mi sento spesso poi con Inner, figurati che a volte è lui stesso a chiamarmi. Come velocisti, con ovvie prese di distanza, siamo abbastanza simili, meglio predisposti nel tecnico, un po’ meno sui piani, per cui le occasioni di confronto non mancano. Mi dice un sacco di cose sui materiali, specie sugli scarponi, lui li cura in maniera maniacale!

Tu che rapporto hai con l’attrezzatura?
Fino all’anno scorso mi sono sempre fatto gli sci da solo!

Vuoi dirmi che anche nella Coppa 2020/21 passavi le giornate in ski room prima delle gare?
Proprio così, skiman di notte, atleta di giorno! Tieni conto che non ero in squadra, ma solo atleta di interesse nazionale. Certi privilegi arrivano dopo! Quindi, dovendomi arrangiare, l’argomento lo conosco molto bene, materiali, preparazione, set up. Devo dirti che rappresenta un bel vantaggio, perché dovendo sperimentare in prima persona ogni piccolo cambiamento, ho sviluppato una certa sensibilità.

Ora ce l’hai però lo skiman
Quello della squadra, gruppo 2 velocità, il mitico Eros Belingheri, sai quanta esperienza ha? Ci siamo trovati bene fin da subito. Mi ha aiutato molto nel set up. Sai, io scio sempre molto aggressivo, troppo. Quei rialzi che pensavo potessero aiutarmi me li ha tolti subito e ora nei tratti di scorrevolezza va molto meglio. Mi segue molto, proviamo, sperimentiamo insieme anche durante gli allenamenti. Le scelte le prendiamo assieme, ma a lui spetta l’ultima parola, quindi, fiducia incondizionata in lui!

Sei uno dei pochi velocisti che usa Salomon, ti trovi bene?
Non bene, benissimo! Sono con loro da quasi sette anni. All’inizio mi seguiva il Rusca (Mauro Ruschetti, ndr), dall’anno scorso sono con Davide Simoncelli che segue Coppa Europa e Coppa del Mondo. Dell’azienda non posso proprio lamentarmi, l’unico neo è proprio il fatto che sopra di me in Italia non c’è nessuno che usa Salomon in discesa, quindi tra sci usati e nuovi sviluppi bisogna sempre dipendere un po’ dalle altre nazioni. Però sai, gli altri, prima di passati qualcosa di buono ci pensano due volte.

Ma ripeto, non posso lamentarmi, quest’anno, passando dal 2,18 al 2,23 mi hanno dato tanto materiale completamente nuovo. Dopo qualche test estivo a Saas Fee e durante la trasferta americana, sono diventati subito veloci. L’ultima controprova proprio a Kitz. Ok sulla stradina sono entrato bene, ma per tutto quel tratto la velocità è rimasta alta.

Ma questa benedetta scorrevolezza ce l’hai o non ce l’hai, o si può migliorare?
Averla innata è un gran bel vantaggio, questo è fuori discussione. È più difficile per un velocista tecnico acquisirla rispetto a uno slittone che deve migliorare nelle curve. Questo perché se sei lento non dipende da una cattiva interpretazione del gesto. Molti credono dipenda fondamentalmente dalla capacità di tenere lo sci piatto. Magari fosse solo questo. Purtroppo, la scorrevolezza ha poco di così tangibile, è una sensazione, quella che ti porta a far galleggiare bene lo sci, di lasciarlo sempre morbido. Con il set up e scarpe un po’ meno aggressive l’ho migliorata, ma non sarò mai come Domme!

È l’unica pecca che hai?
Figuriamoci, ne ho di miglioramenti da fare… Ad esempio, tendo a sciare sempre alla stessa maniera su nevi diverse. Il mio modo di sciare sul ghiaccio funziona, su terreni morbidi molto meno. Non è vero che bisogna sempre e comunque spingere, l’atteggiamento va adattato anche a quello che ti trovi sotto i piedi. Ci stiamo lavorando!

Con gli allenatori come ti trovi.
Quando ero nel Gruppo 2 ero seguito da Lorenzo Galli che essendo di Livigno mi conosceva già da tempo e dal mitico Patrick Staudacker. Belle persone, bravissimi tecnici, con loro sono migliorato molto. Con la squadra A ovviamente sono sotto ad Alberto Ghidoni. L’ho conosciuto l’anno scorso a Bormio per cui non è che ci sia stato il tempo di maturare chissà quale rapporto. Certo è che anche un suo piccolo consiglio vale oro!

I primi punti Coppa arrivano sulla prima discesa disputata sulla Streif di Kitzbühel

Dopo il risultato di Kitz cosa ti ha detto?
Lo conosci, sai che non è un chiacchierone. Mi ha dato la mano e mi ha detto: “Complimenti Pietro”. Gli è piaciuto l’atteggiamento. Poi mi ha ripreso perché sulla Steilhang sono andato un pelo lungo. Poi ha proseguito: “Per l’anno prossimo ricordati di trovare lì, un pelo prima, lo sci, perché quei due o tre km/h sulla stradina fanno la differenza. Insomma, mi ha già dato in consigli per la stagione 2022/23!

A casa hanno fatto festa?
Contentissimi, poi hanno potuto seguire la mia gara collegandosi al player di Eurosport. Ma già dopo il risultato della prima discesa erano pazzi di gioia. Sai, i miei primi punti… Per loro che mi hanno sempre spronato e supportato è stata sicuramente una grande soddisfazione. 

Nel tuo trascorso passato, di fatto, senza troppo certezze, non hai mai pensato di mollare?
Sì, ma non per una questione di risultati. L’anno che mi avevano fatto uscire dalla zona di Interesse Nazionale, stavo sciando liberamente sulla Stelvio e mi venne addosso una bimba, anche se feci di tutto per evitare lo scontro. Lei per fortuna rimase in piedi, io caddi picchiando violentemente il collo sul terreno. Il classico colpo di frusta. In quel momento non sembrava nulla di che, però mi accorgevo che sugli impianti, man mano che salivo, mi girava la testa. Alcuni approfondimenti clinici scoprirono che si erano spostate due vertebre. Quel disturbo mi accompagnò per tutto l’inverno.

Un po’ quello, poi l’uscita dall’area della nazionale e i risultati che non arrivavano, a fine stagione due domande me le sono fatte. Dopo un breve summit con la mia famiglia decidemmo di fare l’ultimo tentativo, con l’obiettivo di abbassare i punti Fis. L’unica era andare in Cile e prendere parte alle gare Pro Am.

In Cile? Da solo?
Esatto, mi sono comprato un biglietto aereo, ho preso e son partito! Poi mi sono arrangiato, come sempre. L’inglese lo parlo bene per cui…  Avevo in precedenza contattato il responsabile delle piste di El Colorado, Wyn Brown, che è stato molto cortese a inserirmi nei programmi di allenamento delle varie squadre che si trovavano già lì. Poi in realtà le gare le ho fatte, ma senza grandi risultati. Avevo solo confermato i punti che avevo. Però quell’esperienza mi ha fatto tornare la voglia e la carica per rimettermi in corsa.

In partenza per El Colorado, sullo sfondo papà Fabrizio

Quali squadre hai trovato?
L’Italia arrivava purtroppo due giorni dopo il mio ritorno per cui mi sono aggregato alla Squadra B francese, col mitico Christophe Saioni.

Però accidenti, tre settimane da solo…
Devo dirti che non sono un tipo solitario, ma sto bene anche da solo. Però avevo incontrato alcuni atleti che facevano gare con me e poi anche due italiane, Beatrice Costato e Ginevra Bonasia e ogni tanto ci vedevamo anche in pista.

Sulle piste del Cile

Sei anche uno dei pochissimi atleti di Coppa che non appartiene a un Gruppo Sportivo Militare
Esatto, l’unico civile della Squadra. Di fatto il mio gruppo sportivo è mio papà! Ho sempre cercato di risparmiare al massimo in ogni cosa, ma per fortuna quest’anno sono riuscito a trovare uno sponsor. Di concorsi in realtà ne ho fatti ma hanno “vinto” ragazzi più giovani che avevano in mano titoli vinti. Contano soprattutto quelli. Ora qualche risultato, tra Coppa Europa e Coppa del Mondo ce l’ho. Vediamo se riuscirò a passare...

Lo sponsor Cassa Lombarda com’è arrivato?
Tramite il genitore di un atleta del Reit Ski team che evidentemente ha contatti con quella banca bergamasca di investimento, già sponsor di Ilaria Ghisalberti. Cercavano un altro ragazzo della Lombardia per creare una sorta di talent team. Ci abbiamo messo davvero poco a trovare un accordo e devo ringraziarli davvero tanto. Sul pettorale che uso durante gli allenamenti ho anche la firma di Clementi, azienda di bresaole e slinzighe valtellinesi 

Ti ha avvicinato qualche altra azienda di sci?
A parte che mi trovo benissimo con Salomon, ma in effetti so dell’interessamento di un’altra azienda. Comunque, quando entri in Nazionale per due anni noi puoi cambiare marchio. Regole del Pool.

Non ti si sente o vede molto. Sei un tipo chiuso?
Mi dicono che sono troppo umile, ma sono fatto così, cosa vuoi che faccia. Gli amici mi dicono che con tutta la fatica che ho fatto per arrivare in squadra dovrei anche un po’ godermi certi momenti. Però, alla fin fine, non è che abbia tante cose da raccontare. L’opinione pubblica cosa vuoi che si esalti per un 26esimo posto, abituati come sono ai grandi successi ottenuti da Domme e compagni. Rimane una mia soddisfazione personale, però nemmeno io ci rimango sopra più di tanto. Un buon risultato è solo parte di un percorso.

Il Pietro non sciatore invece com’è?
Un ragazzo normalissimo. È vero che ama stare da solo, ma non si tira indietro quando c’è da conoscere gente nuova. Mi piace studiare e di ragazzi ne ho conosciuti parecchi quando sono andato in Inghilterra. Loro lo sci non lo conoscono affatto per cui ho spazio per parlare anche di altro. Sono iscritto all’Università Bicocca, ho appena iniziato il terzo anno, e cercherò di laurearmi nella facoltà di Turismo.

Con gli amici conosciuti in Inghilterra durante gli studi

Con la pandemia alla fine è andata anche bene ,perché ho potuto dare gli esami senza frequentare. La Bicocca ha poi creato il progetto Dual career che permette agli sportivi di portare avanti gli studi. Abbiamo un tutor che ci segue il che rende tutto un po’ più semplice. L’obiettivo è finire la triennale.

Turismo uguale Bormio, ti stai costruendo il futuro?
Beh, le risorse sul territorio di certo non mancano e un domani mi piacerebbe dare una mano alla nostra comunità.

Tra i tuoi amici c’è anche una lei?
Si chiama Marica Sosio. Accidenti, però, mi vede poco, un po’ perché con le gare sono sempre in giro e quando torno a casa studio! Insomma, anche lei, rapporto sentimentale a parte, sicuramente entra nella lista di coloro a cui devo tantissimo. Lei è fondista ma sa anche destreggiarsi in pista.

Dove può arrivare Pietro Zazzi?
Magari ti aspetti che risponda vincere una gara di coppa o la classifica di specialità, per cui mi sa che non ti darò molte soddisfazioni. No, non è così. Non so se sono diverso dagli altri, ma il mio percorso mi ha abituato e convinto a pensare stagione per stagione. A fine marzo tiro le somme dell’inverno e cerco di capire dove e come migliorare per incrementare step by step le mie performances. Per dirla tutta, non sono il classico atleta che fin da bambino sogna di arrivare in alto. E non lo dirò se questo dovesse accadere. Considera che fino a pochi anni fa ero lì a far slalom e gigante, oggi mi trovo alla partenza della Streif!

Non ti ispiri nemmeno a un campione?

Se per ispirazione intendi più che altro apprezzarne la persona, uno, più di altri, ce l’ho. Innerhofer. Lui è davvero un esempio incredibile. Io lo frequento da poco ma quando siamo insieme è sempre il primo a correre ad allenarsi, palestra, bici… Nella prima di Beaver Creek, un superG che avevo affrontato piuttosto male, viene da me e mi dice. “Pietro, tu devi stare tranquillo perché tanto è già tutto scritto. La vita va come deve andare”. Pie

About the author

Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

Add Comment

Click here to post a comment