Notizie

Regole e consigli per fotografare sulla neve con Alessandro Trovati

Alessandro Trovati, uno dei top player della fotografia mondiale dello sci, ci regala consigli e regole per fotografare sulla neve. Non si tratta di un manuale tecnico. Per questo occorrono libri e dispense. “E poi io non sono un grande tecnico dal punto di vista meccanico e scientifico“.

 

Ma abbiamo pensato che sarebbe stato utile conferire qualche informazione per chi ha la passione della fotografia ma non si è mai cimentato sulle foto di azione sulla neve. Quindi sono solo indicazioni e consigli dati da Ale che è ambassador Canon, oltre che titolare col fratello Marco della Pentaphoto, creata da papà Armando. L’Agenzia che lavora con Sciare da sempre, quindi da 55 anni! Naturalmente parliamo di macchine fotografiche e non di smartphone!

Primo argomento, la macchina fotografica. Quale?

Lasciando perdere le macchine super professionali, per realizzare buone fotografie, soprattutto in azione, è necessario utilizzare prodotti di buon livello. Questo perché devono avere un motore veloce. Ovvero, che hanno un buon numero di scatti al secondo.

Non è necessario abbiano, come le nostre super professionali, 10 scatti al secondo, ma è sufficiente che non siano troppo lente. Condizione necessaria per immortalare lo sport. Il motivo è abbastanza logico.

Bisogna seguire il movimento. Il soggetto può comparire all’ultimo momento… Diciamo che 5 scatti al secondo sono un buon compromesso. C’è anche da precisare che il numero di scatti al secondo non è sempre reale. Quando interviene l’auto focus, il numero diminuisce per forza.

Queste macchine sono in grado di scattare foto ad altissima definizione, condizione necessaria per ottenere immagini di alta qualità.

Un’immagine da 20 mega è l’ideale. Poi posso abbassarla per internet, ad esempio. Ma anche se poi la abbasso a 1 mega sarà molto più definita rispetto a un’immagine originariamente scattata in bassa o media definizione, anche se il peso è uguale.

Piccola digressione su questo aspetto. La classica immagine web ha una definizione di 72 DPI. Letteralmente significa Dots Per Inch, ovvero punti per pollice. Questa è una bassa definizione.

L’alta ha come minimo 300 dpi. Poi c’è la grandezza dell’immagine misurata di base, in pixel o in centimetri. Un’immagine a 72 dpi con una base di 1.000 pixel sarà molto più bassa di un’immagine a 300 dpi sempre di 1.000 pixel.

Per intenderci, provate ad allargare il tessuto di un maglione. Si noterà sempre di più la trama e l’ordito, ovvero l’intreccio delle fibre del tessuto. Visivamente diminuiscono i punti. In questa situazione sono a 72 punti. Se riporto il tessuto alla sua posizione naturale non vedrò più alcuno spazio, quindi aumentano i punti. In questo caso 300.

A sinistra Alessandro Trovati in una foto ad alta risoluzione. A destra, la medesima immagine a bassa, portata alla stessa grandezza di quella a sinistra

Questi parametri sono legati. Prendiamo ad esempio una foto a 72 dpi con dimensione 1.000 pixel di base. In post produzione non posso portarla a 300 dpi. L’immagine diventerebbe molto più grande ma non avendo punti sufficienti otterrò un’immagine sfocata o sgranata.

Posso invece far il contrario perché la qualità rimane intatta. Anzi, più la foto si vede su un supporto piccolo (smartphone) più ho bisogno di qualità per gustarmi tutti i particolari.

Chiaro è che bisogna servirsi di card molto capienti con svariati giga di memoria. Ma no solo. Servono card veloci. Puoi anche avere una 10 scatti ma se la card è lenta non riesce a registrarli tutti. Il valore da verificare è l’indice MDS. Più è alto questo valore più è veloce. Un buon compromesso è sui 240, meglio 525. I pro usano oltre i mille.

Un’altra caratteristica da considerare è la dimensione del corpo macchina. La tendenza è quella di produrre modelli sempre più piccoli e compatti. Sulla neve questo è tutt’altro un vantaggio. Non si è quasi mai in situazioni di grande comodo.

La neve, la pendenza, il freddo… Per questione di ergonomia è preferibile una macchina di ampi volumi. Bisogna “sentirla” in mano! Se invece già si dispone di una buona macchina ma dalle dimensioni ridotte, è possibile aggiungere il cosiddetto Battery Grip che “allunga” la macchina. Il vantaggio è anche quello di avere una maggiore autonomia delle batterie.

Particolare non da poco, visto che al freddo c’è un maggio consumo di “energia” e la durata diminuisce nettamente rispetto ai posti chiusi.

Quando si è in azione è indispensabile avere una seconda batteria di scorta ma dev’essere conservata al caldo. Difficile stabilire quanto dura una batteria, proprio perché dipende dall’uso e dalla temperatura e dall’umidità.

Quelle di fascia alta sono tropicalizzate. Hanno all’interno una scocca tra la parte elettrica e il corpo esterno che funge da protezione delle condizioni atmosferiche. Nonché dall’acqua, la neve, dai liquidi in generale.

Ovvio che se si mette sotto la doccia… Questo particolare non è presente nelle macchine di fascia media purtroppo, ma chi si può permettere di spendere qualcosa in più, non è un optional trascurabile. Insomma, ne vale la pena.

Lo scatto
Veniamo ora agli aspetti pratici. Io lavoro sempre in manuale. Questo significa eliminare un sacco di setting. Significa lavorare sempre con gli elementi base della fotografia, ovvero, otturatore, diaframma e tempo di posa.

Il diaframma misura quanta luce entra all’interno dell’obbiettivo. Molto aperto a 2.8, chiuso a 16. Più la luce è intensa più si deve chiudere il diaframma. Fisicamente, è un meccanismo formato da lamelle che si sovrappongono a circoscrivere un foro, di cui può essere regolata l’ampiezza.

Questa regolazione va combinata in proporzione, col tempo di posa che è la velocità dell’otturatore calcolato in millesimi. Nella fotografia sportiva il tempo di posa deve essere sempre molto alto. In caso contrario le immagini vengono mosse, perché l’immagine non si “congela”. Quindi si va da 1 millesimo a 1.250 fino a 2 mila.

Più alzi il tempo di posa più devi fare entrare luce. Questa proporzione è basilare. Altro fattore da considerare è l’Iso che è la sensibilità alla luce. Con l’avvento del digitale l’Iso si può alzare tantissimo, più dei 100 o 200 Asa della pellicola. In pratica l’immagine è priva di “rumore” ovvero di effetto grana.

Per riassumere, più alzi l’Asa più riesci a lavorare con tempi di posa alti e di conseguenza il diaframma, quindi si è avvantaggiati.

Perché allora non si usa l’automatico che dovrebbe calcolare da solo questi parametri?

Nello sci, l’automatico legge il bianco. E il bianco “spara” molto. Se hai un soggetto tra la macchina e il bianco, in questo caso lo sciatore diventa nero, proprio perché la macchina apre molto per la forte interferenza del bianco.

Col manuale la luce la gestisci tu e il soggetto da immortalare è reale. Anche se questo determina una variazione naturale del bianco che a volte può essere un po’ troppo sparato oppure eccessivamente scuro.

Però quello che conta è il soggetto. Quando c’è bel tempo, io punto l’obiettivo sul cielo blu e quella è l’esposizione più corretta per scattare.

Il vantaggio del digitale è che si può vedere subito com’è la situazione. Tra una situazione sottoesposta e una sovraesposta è meglio optare per quest’ultima perché, si può correggere più facilmente nel post produzione. Cioè, è più facile schiarire che scurire un’immagine.

Se dobbiamo fotografare un atleta nel passaggio sul palo, la messa a fuoco va fatta sulla porta. Per chi non vuole rischiare e usare l’autofocus, può farlo se la posizione scelta ti consente di vedere arrivare lo sciatore.

Se invece arriva all’ultimo momento, ora che la macchina trova il fuoco in automatico, l’atleta lo hai perso! Poiché si cerca di scegliere le porte poste su un dosso o in un cambio di pendenza, quasi sempre non si riesce a vedere lo sciatore se non quando è praticamente già sul palo.

Stessa cosa sui salti: molto meglio lavorare in manuale. Se invece si vede l’azione dell’atleta nei metri che precedono lo scatto, basta seguire il soggetto con la macchina e scattare al momento giusto.

Mai rimanere con la macchina ferma, perché il tempo di reazione del fotografo è troppo lento rispetto a quella dello sciatore. Lavorando coi tempi alti si limita il rischio di avere una foto mossa. La pratica eliminerà, comunque, questo problema.

Bisogna sempre tenersi un po’ di margine nell’inquadratura. In gara l’atleta può anche sbagliare linea e non passare nel punto più logico. Quindi è bene tenersi un po’ larghi per poter poi eventualmente correggere.

Per la foto in campo libero la situazione non cambia. Bisogna sempre seguire lo sciatore ed è meglio concordare precedentemente il punto dove passare

Gli Obbiettivi
Ovviamente anche in questo caso quello che sposta molto è il budget che si ha a disposizione. Il sogno di un appassionato è quello di avere un buon tele obbiettivo.

Si parte dal 600 (oltre 10 mila euro) fino al 300 (circa 1.500 euro). Tranquilli, ci sono alternative abbordabili. Il 100/400 della Canon ha un’ottima qualità e versatilità e un costo abbordabile. Si possono già fare tante cose.

Spieghiamo cosa significa 100, 300, 400, 600…

Si tratta di millimetri ed è la distanza dal “culo” dell’ottica (purtroppo si dice così) rispetto all’otturatore. Più l’obbiettivo è lungo, più riesco a vedere grande il soggetto pur rimanendo a distanza, garantendo la qualità.

Se sono per forza di cose lontano dallo sciatore, con un obbiettivo corto otterrò un soggetto piccolo. Poi posso anche ingrandirlo in post produzione, ma si sgranerà parecchio. Quindi nello sci l’utilizzo di un tele è quasi d’obbligo, poiché difficilmente si possono scattare fotografie a distanza ravvicinata.

Comunque le soluzioni sono diverse. In Coppa del Mondo io uso spesso anche il 70/200 soprattutto per fare le foto laterali che oggi si usano molto. Immagini molto belle se si vuole far vedere non solo l’azione ma anche l’ambiente. Ma di questo ne parleremo dopo.

Si usa anche il grandangolo. Si va dall’11 al 35 millimetri. Molto bella l’ottica Canon 11/24. Il classico Zoom. Questa ottica tende a distorcere l’immagine ma ti permette di immortalare un’area grandissima. Chiaro è che tende a ovalizzare e il più estremo si chiama fish-eye, letteralmente occhio di pesce.

Per evitare un eccessiva distorsione conviene sempre tenerlo a 90 gradi, quindi, più orizzontale possibile (dritto, con la macchina attaccata alla faccia). Perché se alzi la macchina verso il cielo o verso il basso prendi più orizzonte. E l’orizzonte di distorce.

Esistono poi alcuni filtri polarizzati che personalmente non utilizzo praticamente mai. Se è richiesto un effetto particolare meglio utilizzare photoshop. Il filtro ha il vantaggio di riparare la macchina dai graffi.

Importante è anche la cura dell’attrezzatura e alcuni accessori. Obbligatorio avere almeno un paio di pelli di daino. Gli schizzi di neve che finiscono sulle lenti delle ottiche sono all’ordine del giorno per chi fotografa sulla neve.

Per non parlare di quando nevica! In questi casi esistono vere e proprie coperture delle macchine che è bene usare. Un tempo si usava il domopak, espediente, per dire, che usano i fotografi impegnati nelle guerre, per evitare l’aggressione della polvere. Ovviamente bisognerebbe sempre essere dotati di zaino. Non è un particolare, perché consente all’hardware di essere sempre asciutto.

Capita di fermarsi sul posto scelto, aprire lo zaino e tenerlo aperto. Ecco, questo è sempre da evitare. Anzi, è bene essere veloci quando si apre e si estrae la macchina. Chiuderlo immediatamente!

Se capita poi di entrare nei rifugi, magari quando fa particolarmente freddo, la lente si appanna subito. In questi casi bisogna aspettare che si asciughi, non c’è verso.

Mi è capitato diverse volte anche al Giro d’Italia. Asciugavo la lente sfruttando il tubo di scappamento! Il sole è la migliore soluzione. Banale dirlo, ma poi quando ci si trova in pista non ci si pensa. Se il sole non c’è l’unica è cambiare ottica.

Un altro attrezzo importante è il guanto. Nello sci il freddo è decisamente il più grande nemico. È una lotta da sempre. Bisogna sceglierne uno leggero per non perdere la sensibilità, di contro non ripara molto dalle basse temperature. A volte uso quelli un po’ più spessi, di pelle che sono un buon compromesso.

Ma mettetevi il cuore in pace, quando c’è freddo c’è ben poco da fare! Bene è dotarsi degli “scaldini” per riscaldare le dita nei momenti di pausa.

La posizione.
È uno degli aspetti più complessi. Quello di trovare la porta migliore in un tracciato. Prima regola, cercare lo sfondo bello. Più è neutro meglio è. Via pali, reti, cannoni, gente sullo sfondo…

Questo perché altrimenti l’azione e lo sfondo vanno insieme. Se il tempo è brutto e il cielo nuvoloso è preferibile trovare uno sfondo scuro, perché l’immagine si impasta meno. Ancor di più se c’è nebbia: bianco su bianco non fa venir fuori quasi nulla.

L’ideale è trovare un cambio di pendenza o un passaggio dove si presume che l’atleta faccia lo sforzo maggiore. Se, ad esempio, voglio uno scatto con l’atleta che piega tanto, più si sta all’interno della curva meglio è, anche per questioni di sicurezza.

Il problema di rimanere invece, all’esterno, è che se l’atleta sbaglia ti viene addosso! In Coppa del Mondo, in discesa, i fotografi rimangono a una distanza di 30/40 metri dallo scatto, fuori dalle reti. In Slalom si è a 10/15 metri.

Con i rapid gates a me non piace la foto frontale, ma preferisco immortalare l’atleta quando esce dal palo e inizia ad allungarsi per cambiare lo spigolo. In pratica rimango più alto e scatto nel momento chiudono la curva verso di me. Aspetto questo momento e quando la curva finisce, scatto. Questa non è una regola, ma è un’alternativa utile per evitare di portare a casa tutte le foto identiche.

Rimanere in piedi o in ginocchio è molto meglio anche se tutto dipende dallo sfondo. È meglio evitare di sdraiarsi perché sarebbe più complicato seguire l’azione dell’atleta. La posizione della macchina, invece, è sempre orizzontale. Se poi c’è una emergenza e bisogna spostarsi dalla posizione repentinamente, da sdraiati è tutto più lento e complicato.

Al limite si può inclinare leggermente per aumentare l’effetto pendenza, ma senza esagerare, perché l’azione poi sarebbe innaturale e si avrebbe l’orizzonte storto. Quindi meglio se lo sfondo è neutro e non, ad esempio, la riga che risulta tra la pista e il cielo.

Ho visto che qualcuno usa il mono piede anche con ottiche corte. Molto meglio tenere la macchina in mano perché è più facile girarsi. Il mono piede è utile quando fai la foto frontale e utilizzo un tele obbiettivo molto pesante.

Può capitare di sbagliare la porta individuata. Ma quasi sempre è impossibile poter cambiare posizione. Dunque, che fare? L’unica è cambiare idea e non rimanere ancorati al progetto iniziale sperando di tirar fuori qualcosa.

Se intervengono, ad esempio, condizioni atmosferiche che non ti consentono di vedere sbucare l’atleta, quindi “cicchi” la foto, bisogna trovare un’alternativa. Ad esempio provare a scattare l’atleta di profilo, quando ti passa di fianco, lasciando perdere il frontale. Oppure un’alternativa, è cambiare l’ottica. Insomma, appena ci si accorge che qualcosa non va, bisogna scappar via dall’idea iniziale.

Un ultimo capitolo lo dedichiamo al bianco e nero. Oggi è tutto molto più semplice. Si fa la foto a colori e si porta in bianco e nero, lavorando, al limite, in post produzione, sui contrasti. Non tutte le foto però rendono allo stesso modo.

Il vero bianco e nero va progettato prima. Di base la foto deve essere molto contrastata, affinché i particolari abbiano il giusto risalto. Altrimenti l’immagine sarà estremamente banale. Se si ha la possibilità di costruire in toto l’immagine è bene pensare a ogni dettaglio. Anche al colore della divisa dello sciatore soprattutto in un’immagine larga.

Da non trascurare l’equipaggiamento. Ho visto gente andar via dalla posizione perché non erano coperti adeguatamente. Primissima cosa è avere assolutamente i ramponi. Mai, quando si è sul ripido, rimanere solo con gli scarponi.

E se si tolgono gli sci non tenerli mai vicini a noi, ma allontanarli possibilmente al di là delle reti di limitazione della pista o lontano dal possibile passaggio di chiunque. In Coppa del mondo queste sono regole ormai fisse e improrogabili da anni. Ma in altre gare non c’è nessuno che controlla.

Un’ultima curiosità.  I mancini dovranno comportarsi da destrorsi. Non c’è l’impugnatura a sinistra. E l’inquadratura va fatta con l’occhio destro, perché così col sinistro è possibile vedere oltre la macchina.

Lo dico perché io ho iniziato, ma senza un motivo, a inquadrare col sinistro, dunque col destro vedo il corpo macchina e faccio più fatica.  Ormai mi sono abituato, ma non commette lo stesso errore! C’è anche un solo modo per impugnare la macchina. Vedo molti che pongono la mano sopra all’obbiettivo. Sbagliato, la mano va sempre sotto perché l’obiettivo diventa molto più stabile.

Marco Trovati riprende il fratello Alessandro intento a caricare… la macchina!

regole e consigli per regole e consigli per regole e consigli per regole e consigli per regole e consigli per regole e consigli per regole e consigli per regole e consigli per regole e consigli per regole e consigli per regole e consigli per

About the author

Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).