Classifiche e confronti internazionali generano conclusioni rapide e scorciatoie pericolose. Il metodologo ricorda che imitare chi vince è facile; comprendere davvero i processi che portano alla vittoria è molto più difficile
Sempre più spesso, in questo ultimo periodo, si leggono e si ascoltano «voci» riguardo l’attuale e futura (presunta) competitività delle nostre Squadre Nazionali di sci alpino (…e non solo). Tali asserzioni nascono da considerazioni che, di volta in volta, vengono utilizzate come giustificazioni, spesso elevate a verità valide per ogni situazione: presente, futura e persino «evoluzionistica».
Tra queste, citiamo le più evidenti e maggiormente ricorrenti, alla base di infinite discussioni che si diffondono ovunque si parli di sci agonistico: dagli ambienti sociali – reali e virtuali – fino ai grandi saloni congressuali. La prima analisi nasce dalla lettura delle classifiche di Coppa del Mondo, dove innanzitutto esiste una differenziazione tra i gender (classifica Maschile e Femminile), in secondo luogo tra macro-aree tecniche (discipline tecniche e veloci) e, «finis coronat opus» («la fine corona l’opera», n.d.A.), dall’oggettiva presenza numerica degli atleti azzurri e dalla loro percentuale rispetto alle altre nazioni, parametrata alle qualifiche di manche e/o ai risultati finali. A questa triplice constatazione si aggiunge anche l’età – media e/o individuale – degli atleti, italiani ed esteri.
Da tali elementi si ricavano facilmente conclusioni altrettanto facili (ma non complete), nate da una presunta logica osservazione dei fatti. A ciò si sommano previsioni sul futuro, basate sulle categorie giovanili: dalle squadre «in preparazione» al salto internazionale, fino al numero di iscritti alle gare «kids» e «children», con relativi risultati, annessi e connessi.
È altrettanto facile, a questo punto, porre un paio di domande ricorrenti: «CHI abbiamo come prospettiva futura?» e «Quali e quante possibilità avranno di entrare nei trenta… e di far classifica?».
Ed è qui che si scatena l’inferno delle considerazioni semplicistiche, spesso supportate da evidenze – anche scientifiche – molto mirate e, nondimeno, imposte come verità assolute. Anche in questo caso possiamo sintetizzare, in poche domande (le ormai celebri FAQ) e relative risposte, il sunto delle discussioni più frequenti: «Cosa fanno le altre Nazioni?»… «Ecco cosa fanno!». Oppure: «CHI sta andando forte e cosa fa/fanno o cosa ha/hanno fatto?» … «Bisogna far così!».
Da qui il corollario: «facciamo come Lui/Lei/Loro», con il sottinteso – non troppo celato – «CHI vince ha sempre ragione» e «per vincere bisogna copiare CHI vince». Ed ecco dunque la formula risolutiva: «Copiamo CHI vince», sostenuta dall’altrettanto abusato «Lo dicono i dati» o, peggio ancora, «ci sono studi scientifici che lo affermano».
Quando tali indicazioni sono avallate da figure che hanno indossato divise importanti o allenato atleti vincenti – dimenticando che ognuno di essi ha un proprio percorso iniziato nell’infanzia, non certo nelle ultime stagioni – tale linea diventa spesso un dogma programmatico da seguire «a testa bassa».
Pochi – se non pochissimi – si interrogano sul difficile percorso che porta alla creazione di un progettoche richiede un’analisi altrettanto complessa dei dati, presenti e pregressi, contestualizzati in una realtà psico-sociale ben definita (e non geograficamente distante migliaia di chilometri o culturalmente anni luce). Una volta redatto il progetto, diventa ancor più difficile costruire un percorso che, nel breve, medio e lungo termine, porti ai risultati desiderati – risultati che, peraltro, non è affatto detto che si realizzino. Per affrontare tutto ciò, sono necessarie competenze e ruoli ben definiti. La ricerca scientifica sulle organizzazioni complesse prevede figure con visioni ampie, delineate ma allo stesso tempo «aperte», capaci di esperienze interdisciplinari e multilaterali reali; non certo «esperti» monotematici o semplici e passivi consultatori di classifiche, che – se lette senza cognizione di causa – diventano dati sterili, non certo risposte, né tantomeno verità.
Il metodologo invita a riflettere su un parallelismo illuminante: «Noi siamo considerati, nel mondo, tra i migliori (se non i migliori) produttori di vino… Ora: pensate che basti prendere un seme di pregiata vigna e piantarlo in un ambiente completamente diverso, per ottenere lo stesso grande e pregiato nettare di Bacco?». È facile capire la metafora: è banale copiare, facile «sputare sentenze» e accoglierle come verità assolute; difficile sapere, molto difficile fare… e quasi impossibile far capire.
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