Nel mondo dello sci la tradizione non basta. Ogni movimento tecnico nasce da un processo di apprendimento che va compreso, corretto e aggiornato. Perché solo chi sa come si impara, sa davvero come insegnare
La Scienza appartiene ormai di diritto allo scibile della conoscenza umana. Senza che ce ne rendiamo pienamente conto, la sua continua evoluzione influenza cultura, costume e tradizione, ridefinendo ciò che riteniamo «consolidato». Nello sci alpino, questa tendenza è evidente: per consuetudine si ripetono nel tempo metodi e atteggiamenti tecnici senza chiedersi se la ricerca scientifica possa offrire strumenti più aggiornati.
È qui che entra in gioco la scienza dell’apprendimento motorio, nell’ambito della psicomotricità strettamente legata all’ambiente naturale in cui l’essere umano si è evoluto. Sciare, però, resta un gesto artificiale, complesso, lontano dalla naturalità del movimento umano. Per comprendere come si apprendono i gesti tecnici, partiamo da uno dei modelli più studiati: il «modello operante», secondo il quale un comportamento può essere modificato dalle sue conseguenze.
Nella pratica, l’apprendimento avviene per abitudine: la ripetizione trasforma l’azione in automatismo. Ma automatismo non significa necessariamente efficacia. Un gesto ripetuto in modo scorretto diventa, nel tempo, un errore strutturato.
E l’apprendimento errato si consolida attraverso questo schema abitudinario senza chiedersi se quel metodo sia ancora il migliore. Nel contesto dello sci alpino, questo accade quando si crede che la tecnica migliori solo ripetendo infinite volte la stessa sequenza di movimenti, spesso senza la supervisione di un Maestro o di un Allenatore.
Così, un gesto errato si mantiene e si rinforza, fino a diventare parte dello stile personale. Una dinamica che riguarda il principiante, l’appassionato e perfino l’atleta di alto livello. Non è raro, infatti, vedere sciatori di vertice attraversare improvvisi cali di rendimento o crisi tecniche apparentemente inspiegabili. In molti casi la causa è psicomotoria e dipende da un modello di apprendimento sbagliato, non corretto nel tempo e ormai interiorizzato. Il primo errore, per chi inizia, è affidarsi all’amico «esperto» o tentare da solo, senza una guida qualificata.
Ma lo stesso vale per lo sciatore evoluto che cerca di migliorarsi da autodidatta. In entrambi i casi, l’apprendimento diventa condizionato dal messaggio ricevuto e non dalla reale comprensione del gesto. A questo punto entra in scena la scienza, che studia da tempo i meccanismi dell’apprendimento umano, applicandoli anche allo sport.
L’espansione di queste conoscenze ha dato origine alla didattica, disciplina che analizza e ottimizza il processo di insegnamento-apprendimento, adattandolo alle esigenze del singolo. Al suo fianco opera la pedagogia, scienza dell’educazione che, attraverso la psicologia e le neuroscienze, unisce teoria e pratica. Quando metodo, progressione e verifica si integrano, nasce la programmazione pedagogico-didattica: la struttura che permette di insegnare e apprendere in modo scientificamente corretto.
E allora? Allora basta guardare alla sezione tecnica di Sciare, dove SciareCampus mostra come la scienza possa tradursi in un metodo chiaro e accessibile a tutti. Un metodo che consente di imparare a sciare in modo corretto, evitando modelli di apprendimento improvvisati o superati. Come ricorda ScienzaSci, ogni Maestro di Sci si forma e si aggiorna in questo contesto, trasformando la conoscenza in gesto tecnico, la teoria in esperienza, la scienza in sicurezza. Perché la cultura dello sciare non è solo abilità: è consapevolezza, e la consapevolezza, oggi più che mai, è scienza applicata al movimento.






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