Il maestro di sci: pregi, virtù e qualche imperfezione di una figura tanto amata.
C’è un uomo o una donna che quando indossa la giacca blu (o rossa, o bianca… a seconda della scuola) smette di essere una persona qualunque. Il suo passo diventa più sicuro, il suo sguardo più profondo, il suo linguaggio si fa essenziale, asciutto come l’aria di una mattina di gennaio. È il maestro di sci, figura mitologica eppure reale, sospesa tra la tecnica e la poesia, tra l’agonismo e la pedagogia, tra la pazienza zen e il pizzico di egocentrismo che serve per stare davanti, sempre.
Platone diceva che l’educazione non è riempire un vaso, ma accendere un fuoco. Se il filosofo greco avesse mai sciato, probabilmente avrebbe chiesto lezioni a un maestro di sci. Perché il maestro non si limita a mostrare come si effettua una curva: fa scoprire a chi scia per la prima volta che la montagna è una possibilità. Una via. Un equilibrio mobile. Una filosofia in movimento.
Ecco allora che tra una serpentina e un traverso, il maestro diventa persino filosofo: interpreta la pendenza, ascolta la neve, legge il paesaggio. A volte, persino legge nell’animo dell’allievo: se ha paura, se mente, se si è innamorato. Perché sì, diciamolo: ci si innamora del maestro di sci. Succede, da sempre. A qualsiasi età. Ma non in quel senso lì!
Non è solo bellezza, carisma e carvate perfette. È anche metodo, disciplina, sveglie all’alba, inverni che mordono. È aggiornamento tecnico, corsi obbligatori, formazione continua. È, soprattutto, la capacità rara di spiegare con pazienza infinita lo stesso spigolo per la centesima volta, a chi per la novantanovesima ancora non lo capisce.
Il maestro di sci è un uomo o una donna presente. Presente nel gesto, nella parola, nel silenzio tra due curve. Sa essere guida e compagno, allenatore e psicologo, amico e a volte anche avversario (quando l’allievo diventa bravo e scende più forte di lui).
È un artigiano del gesto tecnico, un custode della linea ideale, uno scultore del movimento. Sa quando parlare e quando tacere. Quando lasciare andare e quando insistere. Sa che ogni sciata è diversa. Che insegnare a sciare è un atto d’amore, anche se spesso travestito da protocollo tecnico.
E poi c’è il contatto umano: generazioni di bambini che lo ricordano come il primo che li ha portati in cima a una seggiovia. Adolescenti che ne hanno raccolto consigli al posto di quelli dei genitori. Genitori che si affidano con gratitudine. Qualche nonno che si commuove, nel rivedere nei gesti del maestro il proprio passato.
Ma il maestro di sci non è perfetto. E no, non lo è. Ogni tanto si sente il dio delle nevi e lo fa capire. Specialmente quando “accende” soltanto i quadricipiti. Altri si fossilizzano, si chiudono nel proprio sapere come in una baita senza finestre. E poi c’è chi non ha più pazienza, chi ha perso la vocazione e lo si sente: le lezioni diventano monotone, meccaniche.
C’è chi vede solo la tecnica e dimentica la bellezza. Chi pretende troppo. Chi si lamenta dei bambini, delle famiglie, della neve, delle ferie, della seggiovia. Per fortuna sono pochissimi e forse ha qualche attenuante: chi non sbaglia, a 2.000 metri, con vento e visibilità scarsa e un bimbo che piange sulla pista azzurra?
In un mondo in cui tutto corre veloce, il maestro di sci resta ancorato a qualcosa di autentico. È uno dei pochi che lavora con la materia più impalpabile: il movimento. Non vende un prodotto, ma trasmette un’esperienza. Non gestisce un algoritmo, ma accompagna corpi, emozioni e storie.
Ed è anche chiamato oggi a reinventarsi. A essere sempre più consapevole di sostenibilità, sicurezza, educazione. A essere inclusivo, tecnologico, aggiornato. A non fermarsi alla pista, ma sapere guardare oltre: alla salute dell’ambiente, all’integrità degli allievi, all’etica del proprio insegnamento.
C’è una frase che i maestri dicono spesso ai propri allievi: “Segui la linea. Fidati degli sci. Guarda avanti.”
Sarà anche questo che fa del maestro di sci un mestiere così affascinante. Un mestiere antico e modernissimo. Un mestiere che – nel bene e nel male – continua a insegnarci come si scende nella vita. Con tecnica, con anima. E con un bel sorriso sotto il casco.
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