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C’è un altro Cavallo Pazzo: si chiama Beppe Filippin e va come una scheggia!

Giuseppe Filippin, detto Beppe, scia come un pazzo. Ha 51 anni, bresciano e lavora al Comune di Brescia. Nel 2010 gli viene lo sghiribizzo di sciare quando accende la TV e vede un atleta paralimpico canadese sulla carrozzina affrontare la discesa olimpica di Vancouver a rotta di collo. Non conosce quale sia la disabilità di quel ragazzo, ma gli piace pensare che lui, afflitto fin dalla nascita da tetraparesi spastica, non è sicuramente messo peggio.

Certo, non riesce a controllare il movimento delle gambe e delle braccia come vorrebbe, però, perché non provarci? Allora chiama Gianfranco Martin, prenota una camera all’hotel LagoLosetta e nel giro di poco raggiunge Sestriere. Obiettivo, pista Kandahar. Martin ritiene che sia afflitto da una seconda disabilità, più intellettiva.

Ma Beppe fa sul serio e si presenta alla partenza della pista che ha ospitato i Giochi del 2006, oggi teatro delle gare tecniche femminili. Fa pochi metri, poi Gianfranco deve andare a recuperarlo. Beppe non demorde e ritenterà altre due volte l’impresa ma finisce allo stesso modo. Martin è disperato, ma in un certo senso lo ammira e inizia a spiegargli tante cose..

Quell’esperienza segna la carriera di Beppe. Non sapeva che esistessero attrezzi in grado di aiutare chi si trova in quelle condizioni. Riesce a procurarseli e finisce sul sito della Fondazione per lo Sport Silvia Parente. Telefona, si accorda e in un battibaleno si trova sulle piste del Cimone difronte a Barbara Milani che con la sua In2the white insegna ai normo come ai disabili.

Beppe aveva una sola idea in testa: scendere come quell’atleta canadese, però non aveva fatto i conti con l’oste. Babi lo disarma e gli intima di calmarsi. L’approccio tra docente e allievo non è mai così semplice. Lei non nasconde il timore di non riuscire a prenderlo per il verso giusto. Lui se ne accorge e un po’ se ne approfitta, però la rispetta e inizia a darle ascolto.

Il momento di disaccordo accade quando l’imperiosità dei movimenti tecnici da assumere per realizzare una specie di curva e controllare la velocità, spegne la fiamma che arde nella testa di Beppe. Senza adrenalina finisce lo scopo di essere lì. Allora Babi lo intuisce e si inventa un sistema didattico un po’ fuori dai canoni che fa sbocciare l’amore.

Un amore tecnico, sia inteso, ma anche in pista, come capita nella vita di ogni coppia, vanno in scena momenti di apprezzamento e tanti battibecchi. Non potrebbe essere altrimenti, Beppe ha la testa più dura di un sasso e Barbara non si tira mai indietro se deve difendere le sue ragioni.

Dopo sette anni di convivenza sulla neve, dove il rispetto è sempre prevalso, la situazione è questa: Barbara ha capito che il principio della tecnica scritta sui libri è sacrosanto ma non è conveniente omologarlo. Il punto di arrivo non cambia, la curva migliore si disegna in un solo modo, la strada per arrivarci invece cambia.

Per qualcuno è un’autostrada, per altri una stradina di campagna.Allora, forse, il bravo docente è colui che riesce a individuare quale prendere pur sapendo che non c’è Google Maps a dargli una mano. Beppe ora sa affrontare anche percorsi di slalom gigante.

È cosciente del fatto che non potrà mai sciare come quell’atleta canadese ma è felice ugualmente, perché ha coniato uno stile, o meglio, un sistema, che gli consente di prendere un impianto, raggiungere le vette delle montagne e allungare lo sguardo verso l’infinito. Meraviglie che da ragazzo non riusciva nemmeno a immaginare.

Quando si trova lassù capisce anche tante altre cose. Scopre che uno sciatore abile diventa disabile nel momento in cui sbaglia a interpretare il gesto tecnico, mentre uno sciatore disabile diventa abile nel momento in cui ha la possibilità di affrontare una pista. E allora il conto finisce in pari.

Poi Beppe, come al solito, esagera e pensa di essere comunque in vantaggio. Quella fiamma che arde nel suo corpo, uno sciatore normodotato non la può avere.

Quando scia ha male dappertutto, gli antidolorifici che assume quotidianamente non possono fare miracoli. Il dolore c’è, o meglio, Beppe sa che c’è perché non potrebbe essere altrimenti, però in quel momento ha imparato a controllarlo e forse anche a sfidarlo.

Barbara sa che Beppe oggi sulla neve ha una certa autonomia, ma preferisce non togliergli mai gli occhi di dosso da quando ha scoperto che l’atleta paralimpico canadese è stato sostituito da un altro eroe. Lo ha trovato studiando la Valanga Azzurra. Non è Gustavo, non è Pierino e nemmeno Helmuth o Tino. Beppe, sarà mica Erwin Stricker? «Sì, è lui e d’ora in poi chiamatemi Cavallo Pazzo!» Beppe Filippin Cavallo Pazzo Beppe Filippin Cavallo Pazzo Beppe Filippin Cavallo Pazzo

About the author

Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

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