Notizie

La storiella dello sci

130 anni fa è arrivato in Italia il primo paio di sci sulle spalle di Stefano Sommier e di Giovanni Cini, due alpinisti fiorentini reduci da un viaggio di avventura in Lapponia. A ruota lo scrittore romano Edoardo Martinori torna con un paio di sci dal Nord America: le testimonianze sono tuttora custodite nel Museo della Montagna di Torino. 130 anni fa nel mondo lo sci aveva già un gran bel movimento, anche se quel mondo era molto piccolo. C’era un eroe: Mikkyel Hemmestveit, che sul trampolino di Huseby aveva compiuto un salto di 23 metri. Le fanciulle se ne erano innamorate tantissimo. L’America aveva voluto vederlo da vicino e Mikkyel Hemmestveit si era presentato a Red Wing, nel Minnesota, attirato da un bel gruzzolo. Si suppone che questa sia stata la prima trasferta di uno sciatore nella storia. Finita con una mezza tragedia perché il povero Hemmestveit si esibì in un saltino di 11 metri e fu preso a palle di neve. Ma ecco che un altro eroe gli ruba subito il posto. È Lars Tuorda, un lappone con due spalle così che vince una gara di 220 chilometri in 21 ore e mancia, davanti a 14 concorrenti. La sfida, organizzata a Jokkmmokk dall’esploratore Nordenskjöld, è molto eccitante. Comincia il boom dello sci, tranquilli villaggi di montagna scambiano gli sciatori per oggetti misteriosi e li prendono a sassate. Dalla Norvegia parte un pacco, sopra c’è scritto «Ski». È diretto in Cecoslovacchia, il destinatario è uno studente di Praga. Alla dogana non capiscono cosa sia questa parola nuova, pensano che riguardi il controspionaggio. Lo studente dice che sono due remi e allora va bene. Nella costruzione degli sci non c’erano regole fisse. C’erano sci da due metri e 20 e da 3 metri, lunghi e stretti, oppure larghi e lunghi. Insomma, un caos. Si innamora di questi problemi tecnici un pittore austriaco di origine ungherese, Mathias Zdarsky. È stato in Africa a dipingere ed è scappato per il caldo. Va a fare una cura di freddo in Norvegia, scopre gli sci e dice che i norvegesi sono matti perché quegli sci sono troppo lunghi. Comincia a segarli, li riduce a 1 metro e 80 e li dipinge di rosso. «Questi – dice – saranno gli sci del futuro – anche tra cento anni». Questa storiella che emerge da un numero di Sciare dell’84, ci fa pensare. Si immagini quante paia di sci, da quel giorno sono state costruite. Difficile identificare un numero e così pure la conta dei sistemi tecnologici partoriti da scienziati, architetti e falegnami appassionati della neve. Se guardiamo alcuni esemplari del passato riusciamo a identificare tecnologie, ma soprattutto idee, incredibili per quei tempi. Sci fatti in casa con la spatola appena abbozzata di faggio, di hickory, ancora senza lamine o con le lamine avvitate, con i famosi attacchi Kandahar o predecessori, che quando uno cadeva, strappava via e poi rimetteva a posto con il filo di ferro e i chiodi. Ne abbiamo visti diversi alla Mostra dello sci che ha organizzato quest’autunno in quel di Biella, a pochi chilometri dalla Rossignol Italia, Piero Ramella del negozio Equipe Olympique, sostenitore di un gran lavoro effettuato da Alberto Vineis, il «collezionista». I giovani osservavano quegli esemplari come fossero scheletri di dinosauri ricostruiti, i «sempregiovani» nello spirito, invece li guardavano con dolcezza. Facevano sinceramente tanta tenerezza questi «personaggi» del passato, reincontrati dopo tanti e tantissimi anni ed è forse per affetto che nessuno vuol più ricordare tutti quei problemi che procuravano allora, con la complicità degli scarponi di cuoio e comunque della stessa età. Episodi indimenticabili, tipo ruzzoloni e affini, vengono raccontati con il sorriso sulle labbra. È giusto che sia così, i ferri del mestiere erano quelli, prendere o lasciare. È però altrettanto ingiusto non voler riconoscere l’importanza che i ferri del mestiere hanno raggiunto oggi sul piano tecnologico. L’evoluzione è stata costante, le industrie produttrici hanno investito fior di capitali per migliorare gradatamente il prodotto e offrire allo sciatore il meglio del meglio. Se oggi si può imparare a sciare in fretta e se tutto lo sci è più facile e divertente, lo si deve proprio alla qualità raggiunta dagli attrezzi. Capita che si parli di «carosci» in genere e che ci si meravigli se un paio di sci «tosto» costa 700 euro, se un paio di scarponi ne costa 400. Ma perché? Che cosa costa oggi una bicicletta da corsa? Fate qualsiasi confronto, stabilite le giuste proporzioni e vi dovrete rendere necessariamente conto che nulla al mondo è aumentato così poco, in questi anni non facili, come lo sci. Che resta il massimo per i «sempregiovani» tra i programmi del tempo libero invernale.

About the author

Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

Add Comment

Click here to post a comment