Professione Montagna

I legami da sviluppare tra montagna, turismo e formazione

Lo sci non è morto, come alcuni temevano qualche decina d’anni fa e, almeno per un po’ di anni,  non sembra proprio in condizione di correre seri rischi.

Le stagioni più recenti hanno mostrato risultati complessivamente positivi  quasi ovunque, il che ha consentito una ripresa di fiducia e di ottimismo da parte degli operatori dalla quale è lecito attendersi un maggiore impulso negli investimenti.

Tuttavia se si va ad analizzare i dati, o anche solo a sentire il parere degli operatori di stazione – come ha fatto PM  nel numero 150 di maggio/giugno per commentare l’ultima stagione (pagg. 20-27) -, si constatano valutazioni diverse e soprattutto un diverso atteggiamento da parte degli operatori delle località più forti, rispetto a quelle di dimensione medio piccola, che spesso sono anche ad altitudini più basse.

Nei primi l’ottimismo è convinto, i giudizi sull’andamento della stagione sono decisamente positivi, pur a fronte di un innevamento naturale arrivato ovunque in ritardo; soprattutto, emerge una capacità di flessibilità e di adattamento alle caratteristiche di un mercato che evolve continuamente (si pensi solo alla sempre più incidente presenza di stranieri).

Nei secondi non mancano le considerazioni problematiche e i distinguo, l’attenta considerazione dell’andamento meteorologico (nel quale il vento ha inciso particolarmente), e un orientamento verso il futuro che non manca di sottolineare criticità e talvolta invocare la ricerca di nuovi modelli di gestione; e infatti, se si vanno a considerare i dati di queste località, si nota che un po’ di  sofferenza c’è.

Verrebbe da concludere – come abbiamo fatto spesso – che «il  gap tra grandi e piccole stazioni si allarga» .

Entro certi limiti questo è certamente vero e farà sentire il suo peso anche in futuro; ma sarebbe troppo sbrigativo pensare che il futuro delle località turistiche di montagna sia legato solo o principalmente alla dimensione e all’altitudine; il buon successo di alcune stazioni medio-piccole anche in anni di scarso innevamento lo conferma.

Non  possiamo più guardare al futuro delle località di montagna con le sole lenti della dimensione e dell’altitudine, interpretando la funzione di sempre; anche se queste continuano ad avere il loro peso, un peso che tuttavia influisce prima di tutto sul modello di offerta e solo successivamente sulla capacità della destinazione di essere competitiva.

Due sguardi diventano fondamentali per questa sfida; il primo è sul mercato e sulle sue nuove tendenze,  il secondo sulle  risorse che si hanno a disposizione.

Leggere e capire l’andamento del mercato è la prima condizione per poterlo soddisfare; non solo e non tanto in chiave quantitativa (più impianti, più collegamenti, più infrastrutturazione), ma soprattutto da un punto di vista qualitativo: cogliere le tendenze di comportamento, le aspettative nuove, i nuovi segmenti di domanda.

Analogo atteggiamento riguarda le  risorse, cioè le condizioni di offerta. Le risorse su cui una località può fondare la sua attrazione  possono essere quelle di sempre, ma il passaggio decisivo è quello di intuire se alcune di esse possono essere messe in relazione ad esigenze o aspettative nuove della domanda di oggi, e ancor di più se il territorio ci offre «cose» (percorsi, sentieri, pareti, torrenti, ecc.) che oggi possono andare ad incontrare esigenze che prima non si manifestavano.

Se qualcuno non si fosse accorto che il petrolio poteva essere sfruttato come risorsa energetica, sarebbe rimasto quel liquido nero che era: una risorsa diventa tale quando va ad incontrare un bisogno.

Chi opera sul campo non manca certamente di porsi questi interrogativi, ma il rischio è che tenda ad utilizzare lo sguardo di sempre e  quindi a non cogliere quei mutamenti, talvolta radicali, che impongono vere innovazioni.

Lo rivela bene  il caso di Thomas Cook, storico e noto Tour Operator britannico, fallito in pochi mesi lasciando un debito di 1,7 miliardi, dopo che solo tre mesi prima aveva acquisito tre nuovi alberghi.

Commenta un operatore del settore: «Non c’entrano niente il caldo o la Brexit, come si è letto da qualche parte, che avrebbero frenato gli inglesi.  Thomas Cook era un operatore generalista, con centinaia di agenzia fisiche sulle spalle, che non reggeva più il confronto con le Ota, con i vettori low cost e con il fenomeno AirBnb» (Guida Viaggi, 26.09.2019).

È un rischio che corriamo tutti in qualsiasi settore; e lo corre di più chi ha sempre fatto lo stesso mestiere nello stesso ambiente (come Thomas Cook), perché fa più fatica a guardare al di fuori dei propri confini e ad accorgersi che il mondo intorno ha dinamiche diverse.

Per reagire occorrono primariamente almeno due requisiti: la capacità di uno «sguardo da lontano» e il «pieno controllo dei fattori in gioco».

Uno sguardo da lontano, significa guardare la realtà da un punto di osservazione che consenta di abbracciare non solo il mercato a cui abitualmente ci si rivolge, ma anche quel più vasto mercato del leisure  con cui probabilmente la nostra attività non ha mai avuto a che fare, ma con cui potremmo in futuro interagire.

L’innovazione nasce proprio qui, identificando nuove aspettative del mercato potenziale e costruendo qualcosa di nuovo nella prospettiva di soddisfarle.

Il pieno controllo dei fattori in gioco (risorse, metodologie, tecniche, processi,…) è l’indispensabile conseguenza di questo atteggiamento, perché diventa sempre più necessario   usare strumenti che non si sono mai usati  o semplicemente farli interagire in modo diverso dal passato.

Ciascuno di noi è esperto della propria attività e ben conosce le tecniche che ha sempre utilizzato; difficilmente però potrà diventare allo stesso modo esperto di tante altre tecniche e procedure in attività affini, ma pur sempre diverse.

Avere il pieno controllo dei fattori in gioco non significa dunque diventare «tuttologi», ma avere quella sufficiente conoscenza e padronanza di risorse, processi e mercati, che consentano di pensare a nuove interpretazioni   e di ampliare il campo di applicazione a nuovi spazi.

Molto spesso proprio chi non opera direttamente in una specifica attività ha una posizione privilegiata per svolgere proficuamente questo lavoro, perché, per sua natura, ha uno sguardo più ampio e una conoscenza più completa del contesto complessivo.

È innanzitutto questa la funzione della formazione; quella di fornire conoscenze, stimoli, aperture conoscitive e progettuali, potenzialità di nuove connessioni. Il turismo montano italiano è cresciuto e si è sviluppato con successo attorno a due principali fattori di attrazione: il paesaggio in estate e lo sci da discesa in inverno.

In questo scenario, relativamente semplice, la formazione necessaria per svolgere proficuamente la funzione turistica era prevalentemente di natura tecnica e per lo più poteva essere svolta all’interno delle singole aziende.

Oggi la complessità dello scenario si è notevolmente ampliata; per cui diventa indispensabile guardare oltre, specie dove le risorse sono più deboli.

Il formatore non è dunque innanzitutto colui che  «ne sa di più», ma piuttosto colui che porta da fuori un ventaglio di conoscenze e di potenzialità, che nella maggior parte dei casi sono estranee al formando, proprio perché concentrato sulla propria specifica attività.

Di questo il turismo della montagna ha oggi molto bisogno.


About the author

Andrea Macchiavelli

Andrea Macchiavelli è docente di Economia del Turismo all’Università di Bergamo. È membro attivo dell’AIEST (Association Internationale d’Experts Scientifiques du Tourisme). È membro del Comitato Scientifico della rivista Turistica. Si occupa prevalentemente di turismo montano.