Professione Montagna

Trasformiamo il dramma del Coronavirus in una opportunità

L’esplosione dell’epidemia (o meglio della pandemia) del Covid19 ha comportato la drastica misura della chiusura anticipata di tutti gli impianti sciistici italiani in prima battuta per decreto del Governo e immediatamente dopo per ordinanza della Protezione Civile.

La situazione che si è creata tra le stazioni invernali e gli esercenti funiviari va vista da diverse angolazioni.

Innanzitutto il punto di vista giuridico-amministrativo: poiché gli impiantisti offrono un servizio di trasporto pubblico in concessione, era necessario che la chiusura avvenisse ad opera di chi regola tale servizio.

Poi il punto di vista dell’attività economica, sportiva e ricreativa: immersi in una situazione completamente nuova e in continua evoluzione, abbiamo cercato di comprendere quali attività fossero ancora praticabili, e abbiamo valutato che lo sci rispondesse a dei criteri di sicurezza oggettivi.

È uno sport individuale che si svolge in ampi spazi aperti e mantenendo distanze interpersonali.

Tutto questo, però, senza considerare le cabine, i punti di ristoro e le code agli impianti, veri elementi di criticità, soprattutto in alta stagione e in periodo di Carnevale.

Elementi di criticità che non sono stati presi in considerazione nel momento in cui sono state emanati i primi decreti. Tanti forse hanno pensato ad una vera e propria fuga in montagna, senza paura.

Sì perché la paura è l’unico vero elemento psicologico e fisico che, insieme ai decreti, quando insorge, può fermare le persone.

Allora avevamo solo bisogno di un provvedimento chiaro e uguale per tutti.

Non poteva essere né compito né responsabilità degli impiantisti predisporre una chiusura immediata per tutto il comparto. Per comprenderlo basta osservare quanto avvenuto per un altro settore, la scuola: solo con grande difficoltà Governo, Presidenti di Regione e Sindaci sono pervenuti a una decisione unanime valida su tutto il territorio nazionale.

Non sarebbe stato possibile per gli esercenti (400 società impiantistiche autonome e indipendenti le une dalle altre e 11.000 lavoratori, un indotto notevole) trovare un accordo, e per di più in poche ore.

Gli impiantisti non hanno né le competenze medico-scientifiche né la competenza amministrativa per assumere questo tipo di decisioni.

Unica eccezione, la scoperta di un caso positivo all’interno della propria azienda: in tal caso gli operatori avrebbero dovuto inviare una pronta segnalazione alle autorità, con conseguente attivazione della quarantena.

Ma nessun caso positivo è emerso prima della chiusura completa del comparto.

I gestori degli impianti sono semplici imprenditori che con i loro operai cercano di far rispettare le norme a volte in condizioni di grande difficoltà sia per i tempi ristretti sia per le informazioni medico-scientifiche che non ci erano chiare.

Oggi la maggior parte degli italiani ha capito i rischi che corriamo e la necessità di affrontare il virus in modo radicale.

È un’esperienza nuova quella dell’isolamento che stiamo vivendo. È una preoccupazione grande quella dell’economia del turismo crollata sino alle fondamenta.

Oggi, al di là di ogni polemica dobbiamo prepararci a ripartire, sapere affrontare una situazione nuova in termini di valori, di priorità diverse, di attenzioni che, anche risolta, questa epidemia ci lascerà in eredità. Solo chi saprà adattarsi e reagire a questo forte cambiamento che dovrà essere mentale, culturale e non solo economico, saprà rinascere forse anche più forte di prima.

La vera sfida oggi è trasformare questa tragedia in opportunità, perché chi ne esce sappia guardare alla vita, al lavoro ed al futuro con occhi nuovi e diversi.