Turismo

Musei in quota, patrimonio della montagna

Della serie “Forse non tutti sanno che” proponiamo una descrizione di alcuni musei presenti in quota, che rappresentano un vero patrimonio della nostra montagna.

«… Fatti non fummo a viver come bruti, ma per seguir vertute e conoscenza ...».
Non è la prima frase che verrebbe in mente risalendo una pista da sci in funivia. Eppure più di qualcuno ha pensato di prendere spunto dal «Sommo Poeta» e arricchire con una proposta culturale i nostri momenti di svago in montagna.

Trasformare una funivia, che è punto di passaggio per definizione, in uno spazio espositivo, ovvero luogo di sosta, studio. E – perché no – meditazione.

Così cultura, ricordo, memoria, arte, fotografia, tecnica hanno trovato spazio in stazioni funiviarie vecchie o nuove.

Vorrei portarVi a fare un giro per le nostre Alpi alla scoperta di alcuni spazi che sono stati ricavati in stazioni dismesse, ristrutturate o appena realizzate.

Per la mia personale ammirazione per l’Architetto che lo ha disegnato inizierò dalla «Capanna Mollino» a Sportinia (Sauze d’Oulx).

Adesso è un ristorante e al suo interno, all’ultimo piano, nel sottotetto, è stato ricavato uno spazio per raccontare la storia dell’edificio e del suo progettista. Carlo Mollino, architetto e padre dello sviluppo della tecnica sciistica in Italia negli anni ‘30.

A lui dobbiamo alcune delle opere più ardite realizzate sulle nostre montagne, la funivia del Furggen a Cervinia e gli studi per la funivia del Bianco con l’Ing. Lora Totino. Lo sviluppo urbanistico di Sestriere e di Cervina, con molti edifici significativi, la creazione dei primi impianti sciistici nella val di Susa. Tra cui la slittovia di Sportinia al Lago Nero, che ora è appunto la «Capanna Mollino».

Questo edificio è stato infatti la stazione di arrivo di uno dei primi impianti di risalita sulle nostre Alpi.

Inaugurato nel 1947, lo splendido edificio che usa con grande maestria la tecnica del «rascard», ospitava al piano terreno i macchinari che servivano per trascinare a monte lo slittone di legno utilizzato per far salire gli sciatori.

Era un sistema rudimentale e lento, ma per la prima volta era possibile salire senza fatica. Ai piani superiori trovava spazio un bar ristorante con una splendida terrazza e uno spazio inizialmente destinato a rifugio.

Andato in pensione lo slittone, nell’edificio sono stati inseriti, con grandi danni, i meccanismi di uno skilift che è stato in funzione sino agli anni settanta. Poi l’abbandono.

È proprio grazie all’opportunità di inserirvi uno spazio espositivo, che, agli inizi degli anni 2000, trova terreno fertile l’idea, coltivata per decenni, di recuperare il bellissimo fabbricato.

Per merito dell’allora Sindaco del comune di Sauze d’Oulx Roberto Faure, dell’Arch. Alvaro Baccon, assessore alla cultura, del Prof. Giovanni Brino, a suo tempo studente dello stesso Mollino e ai fondi messi a disposizione dalle Fondazioni San Paolo e CRT, dal Comune e dalla Soprintendenza, il fabbricato viene restaurato e diventa sede per eventi e convegni.

Dal 2002 e sino a tutto il periodo olimpico «Torino 2006» diventa sede del premio Grinzane Cavour per la montagna, della Fondazione Sandretto Arte Contemporanea e ospita mostre ed eventi di rilevanza mondiale.

È anche oggetto di studio per delegazioni di architetti provenienti da tutto il mondo. Torna poi ad una delle sue funzioni originarie: la ristorazione, conservando uno spazio per la memoria.

HANGAR 2173, nella stazione al Pavillon, l’intermedia di Skyway Monte Bianco, ci racconta la storia delle funivie del Monte Bianco.

Settanta anni di storia di un sogno visionario seguendo il percorso di una fune. L’esploratore compie un suggestivo viaggio a ritroso nel tempo. Una timeline lo accompagna narrando gli avvenimenti a partire dall’inaugurazione di Skyway Monte Bianco nel 2015 fino a risalire al 1941, anno di inizio del cantiere per tendere la prima fune sul Monte Bianco.

Lo spazio è collocato nei volumi recuperati della vecchia stazione funiviaria, che sono stati collegati direttamente a quella nuova. Nei due piani dedicati alla narrazione si parla di tecnologia e di umanità, di sogni, di creatività e di limiti umani da superare.

Prima si racconta il cantiere tra le nuvole, la creatività e l’operato eccezionale di coloro che sono riusciti a realizzare la meraviglia tecnologica rappresentata dalla nuova funivia Skyway Monte Bianco.

La visita prosegue in un’area dedicata a tre personaggi straordinari, l’attrice Matilde Gioli, l’alpinista Hervé Barmasse, e l’astronauta Samantha Cristoforetti che simboleggiano con la propria testimonianza l’uomo, la funivia e la montagna.

Grazie a un’istallazione interattiva che fa incontrare la funivia di oggi con quella di ieri c’è la possibilità di diventare parte integrante della storia di Skyway.

Infine, si spalanca un’emozionante finestra sul passato e sulla primissima funivia inaugurata nel 1947. Che ha continuato incessantemente a compiere i suoi percorsi sul Monte Bianco fino al 2015.

Il viaggio nel tempo attraverso l’evoluzione delle funi prosegue tra percorsi storici, testimonianze e installazioni artistiche che celebrano la grandezza di questo capolavoro d’ingegneria.

«Marmolada Grande Guerra 3000» è uno spazio che ci accompagna in un percorso di raccoglimento che ci riporta a momenti drammatici del nostro passato, ci invoglia a ricordare per non ripetere gli stessi errori.

La stazione intermedia di Serauta ospita il museo più alto d’Europa dedicato alla commemorazione del fronte bellico della Prima Guerra Mondiale.

Nato nel 1990 è stato completamente ridisegnato e riallestito nel 2015 per il centenario della Grande Guerra, in concomitanza con gli interventi di ristrutturazione della storica funivia che si sono conclusi nel 2018 con l’apertura di due spettacolari ascensori panoramici a Punta Rocca.

Visitabile gratuitamente ogni giorno di apertura degli impianti, il Museo offre un percorso intenso nella storia delle trincee belliche.

Il percorso museale è costruito a più livelli di fruizione, accessibile sia dallo sciatore – scarponi ai piedi – con poco tempo da rubare alle piste sia al visitatore più attento sino allo storico.

Il percorso, intuitivo, chiaro, efficace, multisensoriali arricchisce il visitatore. L’obiettivo punta soprattutto sulla tragedia della sopravvivenza in quota. Così come sugli strumenti che gli uomini dell’epoca avevano a loro disposizione per sopravvivere.

Dagli abiti al cibo, dagli apparati medici alla mitica città di ghiaccio scavata su idea di un ufficiale austroungarico per far sopravvivere le truppe – quasi 200 uomini – in una vera e propria mini Vienna fra i crepacci e gli spari.

Il percorso si snoda agile, emozionale, intenso e, non importa quanto veloce sia stato, quando se ne esce non si trova il vessillo del vincitore. Ma solo l’uomo, la vita ed i sani valori ispirati dalla vita estrema in montagna.

Salendo al Lagazuoi dal Passo Falzarego il panorama indescrivibile di cui si può godere non è l’unico buon motivo per fare una sosta.

Proprio qui Stefano Illing ha avuto l’idea di arricchire di nuovi significati e funzioni la stazione di monte della funivia, trasformando una struttura che per molto tempo è stata letta solo come un comodo elemento funzionale di passaggio in molto altro: lo spazio espositivo «LAGAZUOI EXPO DOLOMITI», che ospita mostre temporanee a diverso tema.

Stefano Illing, ingegnere funiviario di professione, appartiene ad una stirpe di grandi progettisti che hanno fatto dell’accesso alle vette una ragione di vita sin dai tempi in cui queste erano attività eroiche.

Al padre Ugo si devono i progetti di molte funivie sin dalla metà degli anni ‘60. La premessa culturale che ha portato alla creazione di questo spazio è proprio legata alla motivazione che ha da sempre spinto l’uomo a realizzare infrastrutture per vivere le montagne, abitarle e quindi arrivarvi in vetta.

Lo spazio che è stato realizzato è un esempio di evoluzione tecnologica applicata ad un edificio molto alto o meglio molto in alto.

È come essere all’ultimo piano di un grattacielo in una grande città, sotto però c’è un panorama che nessuna città del mondo può offrire.

Nel progetto c’è la volontà di aggiungere un mattoncino, di rendere una funivia non solo un ascensore che mi porta in vetta. Ma anche un iter per far riflettere, per soffermarsi ad ammirare, per aumentare la consapevolezza di chi passa.

Diventa il modo di dimostrare che l’uomo può lasciare un segno accettabile sul terreno.

L’occasione per dar corpo a questa idea viene dalla opportunità di recuperare alcuni volumi tecnici della funivia esistente. E di creare un ampliamento che ha completato il fabbricato.

Un luogo con queste caratteristiche deve rispettare importanti principi di sostenibilità, accessibilità, comfort e qualità costruttiva.

Lo spazio è riscaldato con l’energia del sole. Ci sono sistemi di gestione elettronica sofisticati, grazie ad un ascensore e a piani inclinati ogni vano è accessibile per chiunque. Si può sostare, leggere, imparare, pensare.

Non è stato un caso che la prima mostra ospitata abbia concentrato la sua attenzione sui primi uomini ad abitare la montagna in modo stabile. Gli uomini di «Valmo» e «Otzi».

Si sono poi succedute molte altre esperienze culturali a carattere anche internazionale ed ora è ospitata una mostra sulla conquista del K2.

Raccontare lo spirito della montagna. Un po’ più a nord, a Plan De Corones, una funivia è diventata la macchina fotografica con lo shutter (otturatore) più grande del mondo.

L’idea nasce da un incontro promosso dall’ex sindaco di Brunico, Christian Tschurtschenthaler, che raduna due personaggi con i loro rispettivi problemi.

Uno é Werner Schönhuber, ex presidente ultrasettantenne della Plan de Coronos spa, che ha un edificio abbandonato ormai da anni di cui non sa cosa fare. La vecchia stazione a monte della prima funivia.

L’altro é Richard Piock, presidente del TAP, l’archivio fotografico del Tirolo, collezionista di vecchie foto, molte di montagna, che sta cercando un posto dove esporle.

Nasce così a 2275 m «LUMEN», museo della fotografia di montagna. Più che un edificio è una idea che si origina in un contesto particolare. In un luogo e in una posizione che permette di ammirare e di crearsi un’immagine, una memoria. O una fotografia della bellezza naturale delle Dolomiti da una posizione privilegiata.

Un talento eccezionale del posto, il suo genius loci, è lo spunto naturale indagare e scoprire la relazione tra la fotografia, ovvero il mezzo per fissare l’immagine e il tempo stesso.

E le foto sono lo spunto per raccontare delle storie che trovano nella montagna a volte la loro cornice a volte il loro soggetto principale.

Lumen è un’architettura narrante, esperienziale e coinvolgente pensata dal progettista Arch. Gerhard Mahlknecht edal Curatore Manfred Schweigkofler. In cui il contenitore racconta il contenuto con un corpo aperto centrale che offre al visitatore immediatamente uno spazio da scoprire.

Il visitatore intuisce forme, luci, ombre, vuoto e pieno ed é invitato all’esplorazione.
Certamente il grosso otturatore è l’icona dell’edifico: un serramento che imita la funzione dell’iride della macchina fotografica, rendendo la vista sulla valle un autentico spettatolo.

La colossale apertura di 9 metri di diametro è impressionante, mentre la chiusura è ipnotica imitando il processo fotografico.

Chissà che avere un momento di pausa visitando qualcosa di interessante in un luogo in cui le emozioni sono amplificate, come la montagna, non sia di spunto per voler approfondire i temi proposti o per cercarne altri.

Certamente è sempre più importante offrire occasioni di riflessione e approfondimento in un momento in cui, sempre più, andiamo di corsa. E diventiamo impermeabili a stimoli da assorbire con lentezza e meditazione.

About the author

Andrea Bagnoli

Nato a Varese nel 1970, si è laureato in architettura presso il Politecnico di Milano nel 1995. Dal 1998 è architetto occupandosi principalmente di edilizia residenziale e di servizio. Da sempre grande appassionato di sci e di montagna, oltre che di architettura e di tecnologia, sta svolgendo una ricerca sul tema delle architetture e delle strutture di servizio all’utilizzo sportivo della montagna, quindi sostenibilità, accessibilità, rapporto tra i manufatti e il contesto ambientale in cui sono inseriti, gestione consapevole delle risorse ambientali ed energetiche, qualità architettonica degli interventi e ovviamente … funzionalità per lo sciatore.