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Sci e psiche

Siamo tutti angosciati, lo sapevamo, ma che lo fossero anche gli sciatori è un po’ una novità ed è alquanto triste. Lo sci era forza, salute, ottimismo, gioventù. Adesso è fonte di timori, di angosce, di fragilità, di frustrazioni, di sofferenze interiori. Lo sci si è fatto psicologicamente difficile tanto che sono sempre di più gli atleti di tutti i livelli che ricorrono al mental coach. Dicono che sia fondamentale. Saper dare la motivazione vincente vale almeno quanto saper suggerire i movimenti tecnici per andare più forte. Il mental coach al pari dell’allenatore. Si dirà che è colpa dell’ansia da prestazioni, ma queste esistono da quando esiste lo sport. La causa piuttosto è un’altra. Da oltre cent’anni la psicologia ha influenzato tutto. Prima fu la filosofia, che da subito divenne esistenzialista e ancora oggi non ha smesso di esserlo, poi toccò alla letteratura, “spesso il male di vivere ho incontrato” (Montale), e quindi all’arte, al cinema, fino alle relazioni di coppia, a quelle familiari e amicali, al lavoro con i test sullo stress da occupazione (o da disoccupazione), insomma la psicologia ha invaso ogni campo, condizionando radicalmente la nostra vita di tutti i giorni, e lo sci non poteva, ahimè, esserne immune. Che nello sci la testa fosse importante quanto i muscoli, lo sapevamo da sempre, ma adesso non si tratta più semplicemente di testa ma di psiche. La testa è la ragione, che nello sport è sinonimo di consapevolezza, intelligenza, concentrazione, tattica, strategia, determinazione, sacrificio; la psiche è un’altra cosa, è inconscio, ansia, angoscia, fragilità, ossessioni, malumore. Sembra impossibile che il sereno e gaudente e positivo mondo della neve viva questa sorta di disagi mentali eppure oggi è così e forse domani sarà anche peggio. Giovani campioni, forti come tori nel fisico, sono fragili come farfalle nel carattere. Basta un nulla, uno sguardo non compreso, una frase buttata là, una vaga allusione sulle capacità tecniche, un po’ di stanchezza nel ripetere un esercizio, una prova mal riuscita che si perde l’autostima, che non si riesce più a fare quello che si sapeva fare, che si sprofonda nella depressione. E così anche gli sciatori sono finiti a sdraiarsi sul lettino dell’analista per essere liberati dalle loro interne, irrisolvibili angosce. Che non sono semplici paure. La paura è sempre paura di qualcosa che con la ragione si riesce ad affrontare: la paura della gara, la paura di sbagliare, di non farcela, la paura del rivale; l’angoscia invece è un’altra cosa, è una paura assoluta verso la quale la ragione non può nulla: è la paura del niente che ci sentiamo, del non senso di ciò che facciamo, della finitezza del mondo in cui viviamo. Hemingway amava lo sport perché, diceva, quando lo si pratica, si sa sempre quello che si deve fare, e questo lo rasserenava, mentre temeva la vita, perché è sempre un mistero. Per Hemingway il senso di una discesa con gli sci era quello di andare il più veloce possibile senza cadere, tutto qua. Il senso della vita, invece, gli era una questione fondamentalmente incomprensibile. Hemingway si suicidò perché aveva smesso di andare a  sciare, a caccia, a pesca; si suicidò perché, invecchiando, aveva sempre più angoscia del mistero della vita. Adesso quel mistero è entrato anche nello sport e gli sportivi sono diventati, come tutti, piccole anime fragili che abbisognano di qualcuno che infonda loro la sicurezza che hanno perduto o che non hanno mai avuto. Anche gli sciatori, quindi, sono finiti nella grande famiglia degli psicolabili, chiudendo così il cerchio di quella umanità sull’orlo di una crisi di nervi che è la nostra! Ma in effetti non poteva essere altrimenti. Cent’anni di lamenti lasciano il segno. Cent’anni d’ipersensibilità universale condizionano la visione del mondo. Così oggi un risultato disatteso si chiama fallimento; un po’ di semplice stanchezza, crisi depressiva; un po’ di tensione, nevrosi; un periodo di tensione un po’ più lungo, psicosi. Stiamo confondendo, ogni giorno di più, la sofferenza mentale, che esiste ed è una patologia, con il lamento mentale, che è solo la ben nota scusa per non esserci impegnati come avremmo dovuto; stiamo confondendo la psicologia, che è una scienza, con lo psicologismo, che è un incerto supporto dell’io. Tornino gli sciatori a coltivare la testa e i muscoli, lasciando la psiche e le sue paturnie a chi sportivo non è.