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Mental Coach, la sindrome del campione

Tra i numerosi argomenti trattati dai Mental Coach c’è anche la sindrome del Campione. Perfetto, ci mancava pure questa! E il bello è che non ce n’è una sola.

La più comune è pervasiva nei settori giovanili, in cui i giovani atleti sono convinti (o sono stati convinti) di essere già Campioni. La pericolosità di tale sindrome è la distorsione narcisistica dell’immagine di se stessi che tali bambini possiedono.

La conseguenza è che il bambino tenderà ad attaccarsi alla cultura dell’alibi ad ogni fallimento, esternalizzando la causa ( l’attrezzatura, il tracciato, la visibilità, la neve). Mentre ogni gara vinta e ogni suo successo verrà vissuto per alimentare la sua grandiosità, alimentando l’idea di essere già un predestinato campione.

Prima o poi tale bambino dovrà fare i conti con la realtà e questo potrebbe portare conseguenze psichiche (forte ansia, attacchi di panico, depressioni, ecc).

La famiglia e l’allenatore dovrebbero in questo caso aiutare il bambino a confrontarsi su un piano più realistico del suo valore effettivo. Incoraggiare senza creare idealizzazioni, supportare senza mitizzazioni.

Nello sport ad alto livello la sindrome del campione è da considerarsi quel disturbo psicologico per cui l’atleta non riesce a gestire il successo raggiunto troppo velocemente poiché non possiede ancora la maturità personale necessaria.

L’atleta è sottoposto a numerose richieste e decisioni che lo distolgono dal suo quotidiano ruolo di sportivo. Egli fatica a delegare incombenze a persone di fiducia, interviste e richieste continue lo decentrano e lo irritano, vorrebbe tornare allo stato di tranquillità precedente ed i sintomi iniziano a presentarsi sotto forma di perdita di senso della realtà e ipertrofia dell’io in tutti i settori della vita.

Spesso sono irritati e intolleranti a qualsiasi frustrazione, fino a giungere all’utilizzo parziale di caratteristiche della personalità borderline.

In questo caso è bene rivolgersi ad uno psicologo per potersi ricentrare al meglio evitando una brusca frenata o una carriera fluttuante.

Molto simile a tale disturbo è la SINDROME POST OLIMPICA. La pressione mentale presente nella testa degli sciatori prima delle Olimpiadi è molto intensa, per quattro anni gli atleti si allenano al fine di essere pronti per l’evento.

Tentare di prendere una medaglia per restare nella storia è l’obiettivo e il sogno di qualsiasi atleta di alto livello. Se la medaglia non arriva, pur essendo forte, l’atleta vive un periodo di delusione e svuotamento che può trasformarsi in un picco depressivo profondo.

Solamente la forza della programmazione di nuovi obiettivi può aiutarlo. Viceversa, se la medaglia arriva, ed è pure di color oro, l’impatto mediatico è così forte da amplificare l’emozione e lo stress di quel momento per mesi.

Per ricompattarsi, all’atleta servono tempo e spazi di recupero mentale e fisico anche un po’ forzati.

Un’altra trappola sportiva è la SINDROME DA DIPENDENZA dallo sport. I maniaci sportivi sono coloro che praticano sport in maniera abnorme, non equilibrata, trascurando affetti famigliari, socialità ed a volte anche il lavoro.

Alcuni di questi atleti sono guidati dalla irrefrenabile compulsione di svolgere un’attività sportiva che li soddisfa nel senso di controllo sulla loro vita. L’attività sportiva ha una sorta di funzione regolatrice dell’umore, oppure di compensazione di uno squilibrio interno, o come unico momento della vita dove ci si sente vivi.

Tutte queste motivazioni fanno in modo che lo sport diventi dominante e sempre più crescente nella vita.

Il mio consiglio è di non ergersi come esseri superiori a coloro che non svolgono sport. Piuttosto cercare di ascoltare anche gli altri bisogni sani che ogni individuo possiede, ascoltando in modo costruttivo le opinioni dei propri cari restando ancorati alla realtà della vita quotidiana.

La SINDROME DA PAURA DEL SUCCESSO, chiamata nikefobia, consiste nel temere di vincere a tal punto di auto sabotare la propria prestazione.

Solitamente le cause sono da ricercare a livello profondo nella mente dell’atleta, ricorrere ad un supporto psicologico potrebbe essere utile per sbloccare la situazione ormai cronicizzata.


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About the author

Lucia Bocchi

È nata a Gazzaniga (BG) il 19 giugno 1969. Ex atleta nel Comitato Alpi Centrali, maestra di sci dal ‘90, allenatore federale dal 2000, si è laureata in psicologia alla Cattolica di Milano con una tesi su «Sport e scuola. Integrazione sport agonistico e formazione scolastica: una sfida». Attualmente è Preparatore mentale di 1°grado per il tennis . Dopo l’ attestato di frequenza al Master di psicologia dello sport di Psicosport tenuto dalla professoressa Muzio, oggi ne è docente!